Uscito il 26 aprile sulla piattaforma streaming Disney +, “Peter Pan & Wendy” è il più recente adattamento televisivo tratto dalle opere dello scrittore britannico J. M. Barrie.

A cura del regista David Lowery, questa nuova trasposizione rielabora uno degli immaginari del mondo della letteratura che come pochi hanno saputo ispirare, incantare e far sognare generazioni intere di bambini, ma anche tutti quegli adulti ben poco entusiasti al pensiero di dover crescere. Dietro alla caratterizzazione del suo protagonista sappiamo bene come si celi in realtà una grande profondità di tematiche e contenuti; e così come già avvenuto per il lungometraggio animato o per il film di Spielberg “Hook - Capitano Uncino” vediamo di scoprire analogie e differenze tra l’opera di riferimento e questo suo ritorno:

Visto intanto quanto spesso la storia di Peter Pan sia stata ripensata per lo schermo potremmo ragionevolmente chiederci: era proprio necessario un remake? Se pensiamo che - come succede per tutte le più grandi opere - anche quella di Peter Pan è incapace di invecchiare, la risposta non può che essere sì; anche considerando l’esigenza di adattarsi, in una certa misura, al gusto di un pubblico sempre nuovo.

Per la prima volta, ad esempio, con “Peter Pan & Wendy” si sceglie di adottare il titolo del racconto originale e soprattutto di porre sul medesimo piano narrativo i due protagonisti. Dopo i precedenti rimaneggiamenti, il film riconosce finalmente al personaggio di Wendy non più un ruolo secondario, ma una parte attiva e determinante nelle vicende. 

Sebbene nasca proprio come script teatrale, l’opera di Barrie - vista la sua complessità e stratificazione di significati - appare tutto fuorché semplice da mettere in scena. Ad esempio, pochi sanno che uno dei motivi per cui vi è un forte attrito fra Peter e il capitano Giacomo Uncino è la discrepanza tra il carattere irriverente del primo e un’abitudine alla cultura e alle buone maniere del secondo. Inoltre, oltre al ben noto sentimento di vendetta che nutre Uncino contro il giovane per aver gettato la sua mano in pasto al coccodrillo, si percepisce la netta distinzione tra il vecchio lupo di mare che non accetta di buon grado la sua parte bambinesca e il bambino che, al contrario, si rifiuta categoricamente di crescere. E qui notiamo la prima, macroscopica differenza tra il film e il testo originale: senza mantenere nulla degli aspetti qui indicati, il Capitano Uncino interpretato da Jude Law - per altro in una convincente prova d’attore - nutre risentimento nei confronti di Peter perché inizialmente suo amico, deluso per esser stato cacciato dalla banda dei bimbi sperduti. Una riscrittura, potremmo dire, quantomeno coraggiosa. 

E anche per il personaggio di Peter Pan, se originariamente lo si riconosce come l’emblema della giovinezza perduta - poiché trattasi di un bambino morto prima ancora di nascere a cui, perciò, viene negata l’opportunità di diventare uomo - il suo temperamento nichilista lo si sostituisce con un assetto più insicuro, titubante e poco carismatico, rendendolo addirittura - in una certa fase - incapace di volare. Ciò si discosta fortemente dalle basi del racconto, che ritraggono un Peter - nella gioia di un luogo spensierato come L’isola che non c’è - capace di librarsi in volo liberamente e senza l’ausilio di polvere di fata.

Peter Pan è anche un personaggio totalmente incurante delle scelte compiute e delle relative conseguenze: agisce per suo unico interesse, senza occuparsi di chi gli sta intorno. Al contrario, nell’adattamento di Lowery il personaggio conserva il suo spontaneo orientamento al gioco ma si lascia trascinare dalle situazioni, rimane fin troppo coinvolte nelle circostanze e arriva perfino a pensare di andare a vivere insieme a Wendy a Londra. Una scelta, quest’ultima, che anche nella libertà potenziale di una riscrittura modifica fin troppo i tratti più indicativi del personaggio. Si percepisce in questo senso, forse, una mancanza di coraggio nel far emergere gli aspetti più irrazionali, contraddittori e spigolosi del prode giovane, da cui chiunque si lascerebbe inizialmente trascinare per il fascino irresistibile scoprendo di lì a poco di essere nient’altro che un pupazzo nelle sue mani. 

Anche nel caso della fatina Trilli constatiamo una rilettura totalmente differente: nell’opera di Barrie la fata è dominata dal possesso, gelosa di Wendy per il suo ascendente su Peter al punto che prova perfino a farla eliminare; allo stesso modo di come, per il suo fidato compagno, arriverà al punto di sacrificarsi. Aver perciò relegato nel film il personaggio di Trilli a semplice aiutante di Wendy risulta essere davvero troppo limitante e superficiale. Per ciò che concerne Wendy il risultato è invece più convincente, avvicinandosi maggiormente alla caratterizzazione compiuta da Barrie. Si riesce a cogliere soprattutto il timore di crescere che nutre la bambina, raffigurato qui dall’entrata in collegio e non dall’immagine più classica di uscita dalla camera dei fratelli. 

Altro personaggio centrale - non meno di quelli già menzionati - è proprio L’isola che non c’è, che differentemente dallo scenario più noto dell’isola tropicale viene qui riproposto col modello di un paesaggio britannico, molto più simile alle atmosfere descritte da Barrie. Qui le scogliere a picco e i prati verdi caratteristici delle coste inglesi restituiscono perfettamente l’aura magica concepita dall’autore agli inizi del novecento. 

Una realizzazione - insomma  - altalenante per un classico da sempre immortale, che ostinato come il suo eroe non finirà mai tuttavia di emozionare e cercare di conformarsi al gusto del nuovo pubblico.

Giovanni Scanu

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