«Te lo ricordi il ballo dei matti?»

Adesso che ha settantotto anni e una salute a intermittenza, Josto Manca conserva lucidissimi ricordi, soprattutto del passato remoto. Cinque figli, una moglie che è anche la sua fidanzata, la sua assistente e il suo consigliere speciale, è stato fotoreporter per una vita.

Prima di essere assunto all'Unione Sarda (che ha lasciato nel Duemila), s'è fatto la classica gavetta di chi tiene famiglia: matrimoni, cresime, prime comunioni. Ha fatto anche lui, e non si vergogna a dirlo, le foto taroccate degli sposi anema & core, ritrattini mano nella mano, lui gagliardo e canaglia che la prende in braccio, lei occhioni da cerbiatta che finge di telefonargli. «Prima che arrivasse il digitale, i servizi matrimoniali rendevano. Preparavo una cinquantina di foto più una gigantografia a colori. Inoltre, compreso nel prezzo, aggiungevo il librone dove infilare - a eterna memoria - le immagini più suggestive della cerimonia e del ricevimento che seguiva».

Reso l'onore delle armi ai tanti colleghi che ancora oggi macinano matrimoni (ma ora li chiamano reportage, in omaggio ai tempi), Josto torna al cuore del suo lavoro. «Il più bello del mondo». Il più bello perché ha fatto del padre di famiglia concentrato in via permanente a ricucire un mese con l'altro, un incursore felice della cronaca. A salvarlo, nei momenti più difficili della professione, è stato sempre il senso dello humour. Che non ha perso per la semplice ragione che non si è mai preso sul serio.

«Te la ricordi la maga di Serramanna? Ci aveva giurato che non saremmo tornati vivi a Cagliari». Facile scordare come si chiamasse, facilissimo rivedere con gli occhi della memoria la processione infinita che andava a chiederle aiuto. Era un campionario umano di ricchi e poveri, analfabeti e non, che speravano in un sortilegio per ritrovare una fidanzata perduta o un marito fedifrago, per sconfiggere un cancro. La maga aveva un filtro e una buona parola per tutti. Dietro un tendone che fungeva da sipario e da dove si metteva in collegamento con gli spiriti dell'aldilà, c'era il marito. Che alla fine del consulto regalava fiducia, elargiva incoraggiamento e, visto che era lì per quello, faceva l'esattore. Offerta libera. Libera poi, neanche tanto.

Josto Manca si era presentato come uno dei tanti postulanti ma con la maga non si erano presi fin da subito. Questione di pelle. Poco credibile la storia che raccontava (l'amatissimo cane perduto durante una passeggiata) e poi: perché armeggiava con una macchina fotografica? «Voglio dimostrare a mia moglie che sono stato da lei». E quel tipo che a un metro di distanza prendeva appunti: chi è e perché ogni tanto scrive? «È mio figlio, mi accompagna sempre. Prende nota di quello che diciamo per non dimenticare».

Immaginata la prospettiva a breve (foto e servizio sul giornale), le conseguenze a medio e in particolare il pubblico sputtanamento a lungo termine, la maga interruppe bruscamente la seduta e cacciò gli intrusi non senza aver prima lanciato un rabbioso anatema in limba, grimilde malefica del Campidano. «Ti ricordi? Aveva le braccia al cielo e gridava: tanto non ce la fate a tornare a casa. Finite prima morti, in strada, come cani. In cunetta vi devono trovare».

Semplice riderci oggi ma allora, anche se adesso nega, Josto aveva mantenuto una guida decisamente prudente sulla via del ritorno. «Non ho mai creduto a quelle scemenze».

Circondato da piccole torri di foto, il tavolo del soggiorno ingolfato e in disordine, Josto ricorda con entusiasmo: «E questo, e questo te lo ricordi? Ne abbiamo fatte tante...». Non mostra nostalgia ma mentre sfoglia una vita in bianco e nero sussulta all'improvviso: questo è quello che avevano ammazzato a Villacidro, questa è quella disgraziata violentata e poi venduta, questi sono i marinai russi morti nel naufragio di Capodanno...

Del ballo dei matti, chissà perché, non conserva neanche uno scatto. Dice, con la modestia che l'ha sempre accompagnato, che in fondo non valeva la pena di conservare neppure un negativo. «Stronzate, le sapevano fare tutti queste foto».

Non è vero, soprattutto per quelle del ballo dei matti. Quel giorno Josto aveva lavorato e si era divertito moltissimo. «Era inverno, faceva buio presto. La direzione dell'ospedale psichiatrico ci aveva invitato. Voleva dimostrare che l'assistenza ai ricoverati era avanzata, innovativa. Laica democratica e antifascista , aggiungevo io per prenderti in giro».

La festa però c'era davvero. Un grammofono, una decina di quarantacinque giri dell'epoca (metà anni '70), un tavolo con paste e bibite (off limits per tutti senza il benestare del direttore), malati nei pigiami d'ordinanza, pochi medici, molti infermieri. «All'inizio, ti ricordi?, erano tutti rigidini. Poi, piano piano, il ghiaccio s'è sciolto e hanno cominciato a ballare. Ballare, poi. Più giusto dire che sbattevano uno contro l'altro cercando il ritmo». E Josto a sparare il flash, a cercare furiosamente il momento giusto, la posa che qualche ora dopo avrebbe fatto dire al severissimo direttore del giornale: questa va bene, la pubblichiamo.

Quello che Josto non racconta, sperando che i temporanei black out dei ricordi colpiscano nel mucchio (compreso chi lo ascolta), è come c'era rimasto quando - posata la macchina fotografica su una sedia per una pausa di riposo - una malata gli si era parata davanti, col camicione e pantaloni grigi: permette? E gli aveva teso la mano per trascinarlo in pista.
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