Il lungo sfogo della figlia di Stefano D’Orazio: «Riconosciuta da un tribunale, ora una guerra contro di me»
Francesca Michelon, 40 anni, web designer, ricostruisce la sua storia: la scoperta di avere un altro padre, lo choc, l’avvicinamento. Poi il silenzio e i processiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Ultimamente ho pensato molto se fosse il caso di scrivere qualcosa in merito alla vicenda un po’ particolare che mi riguarda, oppure lasciar perdere per l'ennesima volta. Non ho mai esternato nulla, perché mi sono sempre detta che, alla fine, sono questioni molto personali e so di non dover spiegazioni a nessuno».
Comincia così il lungo post sfogo di Francesca Michelon, 40 anni, web designer, riconosciuta ad aprile scorso dal tribunale di Roma come figlia legittima del batterista dei Pooh Stefano D’Orazio, scomparso il 6 novembre del 2020. Una decisione, in primo grado, arrivata dopo un contenzioso durato più di dieci anni e un test del Dna, dopo che D’Orazio non aveva mai riconosciuto la figlia nata da una relazione con Oriana Bolletta. La sentenza ha anche annullato il testamento del musicista che vedeva come unica erede la moglie Tiziana Giardoni. A Michelon spetta metà dell'eredità e un risarcimento di 60 mila euro per il danno biologico.
Una vicenda dolorosa durata anni e non ancora conclusa, che Michelon ricostruisce passo passo su Facebook. «Nel 2006 – ricorda - quando avevo 21 anni, per puro caso da un gioco iniziato da amici appassionati di genetica e fisiognomica (servirebbe un capitolo a parte sul come hanno fatto!) ho scoperto che il mio padre biologico non era la meravigliosa persona che mi aveva cresciuta, ma il batterista di una nota band. A prescindere dal legame che avevo e ho con l'uomo, il papà, che mi ha cresciuta, visto che anch'esso è stato oggetto di speculazioni qualunquiste, la scoperta ha costituito per me uno shock molto profondo, e, nonostante cercassi di nasconderlo, mantenendo una calma apparente, dentro di me si era aperto un baratro».
«Questa persona appena saputo che io sapevo, si era proposta di conoscermi, dicendo a mia madre che non vedeva l’ora e che aspettava da tanto tempo questo momento – continua -. Dato che dall’altra parte c’era un atteggiamento così positivo e propositivo, nonostante fossi ancora molto confusa, avevo acconsentito, la curiosità in fondo era tanta». Un primo incontro che «si era concluso con grandi sorrisi e la promessa di volerci conoscere meglio, senza alcun rancore o imbarazzo. Nei successivi 11 mesi ci siamo visti in realtà poche volte, e per pochissime ore alla volta».
Poi «dopo 11 mesi di rapporto amichevole e goliardico, che dal mio punto di vista di 21/22enne non aveva nulla di anomalo, era letteralmente scomparso nel nulla».
«Una cosa molto grave - dice ancora - è successa tra il 2007 e il 2010: per qualche motivo a me davvero sconosciuto aveva improvvisamente iniziato ad andare in TV e giornali, lamentando che tra i suoi più grandi rammarichi nella vita c'era proprio quello di non aver avuto figli. Credo abbia dedicato anche un capitolo a riguardo sul suo libro autobiografico scritto in quegli anni, e uscito nel 2012. Quelle sue dichiarazioni erano come pugnalate. Perché ci teneva tanto a sottolineare questo aspetto della sua vita, sapendo che mi stava volutamente ignorando da mesi, senza darmi spiegazioni di alcun tipo?».
«Per me erano attacchi personali, e non ho mai capito cosa ho fatto per meritarmeli», spiega: «Quindi, per la prima volta, nel 2010 gli avevo fatto recapitare una lettera scritta da un avvocato (un avvocato che non mi ha seguita nel mio futuro percorso, ma che si era solo occupato di quella singola lettera)».
Anni dopo «ho deciso di intraprendere la mia azione legale. Non per soldi, non per fama o altro, perché avrei avuto davvero tante occasioni per approfittare della situazione, e in 10 anni non ho mai fatto nulla al riguardo, ma perché, crescendo, ho compreso che un figlio non si rifiuta così, e che il segno che lascia un atteggiamento simile può essere indelebile».
Il processo «è stato lungo e doloroso (anzi, i processi). Lui ha sempre fatto di tutto per rallentare o bloccare le cose» mentre lei ha «ricevuto attacchi da persone estranee che mi hanno offesa senza sapere nulla di me. Mi sono sentita dare della parassita, qualcuno ha addirittura scritto che avrei passato la vita dentro e fuori i tribunali vivendo in funzione di un tornaconto economico e nient’altro. Grazie al cielo non è così. Ho una bella vita e un lavoro che amo. Ma è anche vero che ho subito un danno esistenziale su cui nessuno dovrebbe sindacare. Ma mi rendo conto che chi non ci è passato non può capire».
Nel frattempo, «purtroppo lui è venuto a mancare, e per questo motivo scrivere queste parole adesso per me è ancora più complicato. Non sapevo stesse male e la sua scomparsa mi ha davvero sorpresa e spiazzata. Non saprò mai perché si è comportato così, quali fossero le sue motivazioni. Il senso di irresolutezza non si colmerà mai. Le cose non si sistemeranno mai».
Quindi il processo «ricominciato dopo la sua scomparsa. La persona che oggi è contro di me (ed è brutto usare la parola "contro " in questi frangenti, ma è proprio così) è subentrata in una vicenda nata molto prima del suo arrivo nella sua vita, e che, quindi, non parla per esperienze dirette ma per sentito dire. E' stata intrapresa una guerra contro di me che va ben oltre ogni immaginabile previsione, in cui, tra le altre cose, sono stata accusata di aver provocato la sua morte. Il primo grado del processo si è chiuso in mio favore. Un traguardo per il quale vorrei ringraziare i miei legali, in particolar modo l’avvocato Francesca Ursoleo, persona e professionista di un’umanità e dedizione davvero rara. Adesso è stato promosso contro di me un appello, su cui per il momento e per ovvie ragioni, non intendo entrare nel merito».
«Dico solo che la versione fornita va ad invertire totalmente le parti, al contrario di quanto è stato detto negli ultimi dieci anni – sottolinea - E temo che sia una versione che, con il tempo, possa essere condivisa anche mediaticamente. Al momento mi sento di dire che, quando nella vita si può pensare di aver raggiunto il limite di sopportazione, quel limite può essere, invece, oltrepassato. Questo è uno schiaffo morale alla mia storia esistenziale lunga 20 anni. Quanto ancora devo sopportare? Quanto ancora posso stare zitta?».
(Unioneonline)