“Hanno ucciso l’uomo ragno”, lavori in corso per la seconda stagione della serie sugli 883
E Max Pezzali torna a parlare del suo impatto culturalePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Per la gioia dei fan e di coloro che li hanno scoperti grazie alla serie tv, la storia degli 883 si appresta a tornare sugli schermi televisivi con la seconda stagione di “Hanno ucciso l’uomo ragno”. Il character drama creato da Sydney Sibilia - cui dobbiamo anche l’esilarante trilogia di “Smetto quando voglio” - con protagonisti Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, ha ripercorso le incredibili vicende del duo di Pavia composto da Max Pezzali e Paolo Repetto, che, attraverso successi come l’omonimo “Hanno ucciso l’uomo ragno” e “Nord sud ovest est”, hanno segnato gli anni ’90, divenendo un’icona imprescindibile del pop italiano.
Il primo ciclo di otto episodi ha riportato gli spettatori alla fine degli anni ‘80, quando un giovanissimo Max - anticonformista, appassionato di fumetti e di musica americana - non sopportava più il peso opprimente della vita di provincia. Proprio il disagio di dover ripetere l’anno al liceo gli aprirà le porte di un’opportunità incredibile: dopo aver conosciuto Mauro, il suo nuovo compagno di classe, i due si uniranno per dar sfogo al proprio talento componendo brani originali. Intrecciando sogni e caratteri molto diversi, dai banchi di scuola fino al palcoscenico daranno vita agli “883”, scatenando un fenomeno di portata nazionale che, fino a poco prima, non avrebbero mai neppure immaginato.
Gli eccellenti risultati della prima stagione - stimati intorno a un milione e trecentomila spettatori medi, il miglior dato per una serie Sky Original degli ultimi otto anni - hanno prontamente dato il via, a partire da ottobre dello scorso anno, ai lavori sulla seconda stagione, con le riprese cominciate a Pavia lo scorso luglio.
Ospite all’ultima edizione del Lucca Comics & Games, Max Pezzali è tornato - in vista delle prossime puntate - a parlare dello show e dei motivi che hanno reso possibile una carriera musicale di così ampio rilievo.
Con leggerezza e un tocco di ironia, ha affermato: «Se uno guarda la serie pensa: questi questi qua non sapevano fare niente. Non sapevamo suonare, non avevamo una gran voce. Se si guarda il talento o il fattore x, ne eravamo privi. Ma avevamo qualcosa da raccontare, ed eravamo convinti che fosse importante. Se la gente va via sorridendo dai nostri concerti alla fine è ciò che conta. Le mie canzoni le possono cantare tutti, la gente che le ascolta pensa: se lo ha fatto lui lo posso fare pure io. Dopo tutto sono un figlio della filosofia punk. Se sentivi i Genesis buttavi la chitarra, se sentivi il punk pensavi: allora posso farlo anche io».
Confrontando il contenuto dei suoi testi con il momento storico che stiamo attraversando, ha aggiunto: «Non posso negare che dai miei brani trapeli una visione del mondo ben precisa, ma non sono uno che fa proclami o che consiglia cosa fare o per chi votare perché sono io il primo a non avere le idee chiare. Non riuscirei a essere convincente né utile alla causa di nessuno perché non la so raccontare. Tanto noi viviamo nella provincia dell'impero, non si può fare niente. Veniamo da un mondo in cui abbiamo creduto che ci fossero i buoni sentimenti, le grandi battaglie, poi ti rendi conto che non è così. Allora preferisco raccontare il privato, non riesco a ragionare sulla collettività, ragiono solo sulle singole persone. Per me è fondamentale far sorridere le persone. Quella per me è la cosa più figa del mondo. Ecco perché canto nonostante non sia capace».
Immaginandosi tra vent’anni, con tono scherzoso, Pezzali ha dichiarato: «Tra vent’anni spero che il sistema sociosanitario italiano regga. Se trent'anni fa, ma anche vent'anni fa, mi avessero detto che sarei stato qui davanti a voi non avrei mai pensato di essere ancora qui a fare queste cose. Non si sa mai cosa può succedere, la vita è imprevedibile. Vorrei essere ancora in grado di deambulare, vorrei avere un po' di salute e godermi un po' il mondo».
E sulla possibilità che gli 883 possano organizzare, prima o poi, una reunion - anche dopo le fasi delicate seguite alla rottura - ha concluso con scetticismo: «Mauro se n'è andato senza dare alcun segnale preventivo. Il venerdì gli ho detto: ci vediamo lunedì alle 14, e lì ha risposto: penso che me ne andrò. Quando una coppia scoppia è difficile lasciarsi bene perché c'è sempre uno dei due che prende la decisione. […] Non è così semplice affrontare tutto da solo, far fronte alle pressioni della casa discografica. Per me è stato traumatico, mi sono trovato solo, è stato destabilizzante. […] Mauro è molto impegnato col suo spettacolo teatrale. Credo che faccia bene a riprendersi quello che è suo, ma riunirsi oggi sarebbe complicato. Avevamo una divisione dei compiti, ma adesso c'è la band e gli incarichi li ho presi tutti io. Riunire questo Frankenstein sarebbe molto difficile».
