Finalmente di ritorno al cinema per tutti i malati di horror post-apocalittico, “28 anni dopo” segna il ritorno alla regia di Danny Boyle, che porta avanti la saga cominciata con l’indimenticabile cult del 2002, con protagonista Cillian Murphy, e proseguita con il sequel del 2007. In questo terzo appuntamento, il regista britannico - autore del primo film - si avvale ancora una volta di una sceneggiatura firmata da Alex Garland, dando vita a un titolo che sta ricevendo ottimi riscontri dalla critica e raggiungendo importanti traguardi al box office, sia in Italia che a livello internazionale.

Oltre ai due capitoli della suddetta trilogia, Boyle è legato a doppio filo a molti altri titoli di successo, che nel tempo lo hanno consacrato come uno dei cineasti moderni più seguiti ed influenti. Impossibile non citare, a questo proposito, il capolavoro “Trainspotting”, brillante comedy-drama sul tema della droga e del disagio giovanile; o il premiato all’Oscar “The Millionaire”, un ritratto dolceamaro dell’India che, attraverso le sue infinite contraddizioni, evidenzia distanze e affinità col nostro mondo. Più recenti sono invece il biopic “Steve Jobs” del 2015, con un eccellente Michael Fassbender nel ruolo del geniale imprenditore, e la commedia nostalgica “Yesterday”, omaggio alla musica del Beatles e al suo inestimabile valore culturale.

Ma gli aneddoti sulla carriera di Boyle e le sue esperienze con la cinepresa vanno ben oltre i riconoscimenti ricevuti. In una recente intervista al The Hollywood Reporter, il director ha rivelato di aver rifiutato, cinque anni prima di lanciare il franchise di “28 giorni dopo”, un coinvolgimento nella saga di “Alien”. Secondo le sue dichiarazioni, la decisione fu dettata dai suoi limiti nell’uso degli effetti digitali e dalla mancanza di interesse verso un progetto troppo orientato alla computer grafica.

In particolare, il regista rifiutò di dirigere il sequel “Alien: La Clonazione”, nonostante il successo di “Trainspotting” e i successivi corteggiamenti da parte dei produttori hollywoodiani. A riguardo, ha raccontato: “Ho incontrato Sigourney Weaver e Winona Ryder, che erano già coinvolte nel progetto. Era tutto molto serio. Loro erano splendide. Ma era l'inizio del passaggio alla computer grafica. Quel momento in cui tutto stava cambiando. E io non riuscivo a gestirla”.

Ciononostante, Boyle ammette di essere sempre rimasto legato alla saga sci-fi, anche dopo aver declinato l’occasione di prendervi parte: “Amavo l'idea di Alien. Ma in quel momento ho avuto un raro momento di lucidità e ho pensato: non sei la persona giusta per questo film”. Dopo essersi finalmente avvicinato al mondo degli effetti digitali con “Sunshine” e “127 ore”, e dopo la vittoria dell’Oscar per “The MIlionarie”, Boyle ha riconosciuto le responsabilità che derivano dal successo e da un premio così prestigioso: “Dopo gli Oscar sei piuttosto arrogante, un'arroganza che puoi usare bene o male. Credo che noi l'abbiamo usata bene, perché 127 Hours era un film che altrimenti non sarebbe mai stato realizzato”.

Tornando al film che nel 2009 gli valse la statuetta, il director riflette su “The Millionaire” come su un’opera che, oggi, non rifarebbe. Durante il tour promozionale di “28 anni dopo”, ha ammesso di essersi reso protagonista, all’epoca, di un caso di appropriazione culturale: “Oggi non potremmo farlo. Ed è giusto così, è il momento di riflettere su tutto questo. Dobbiamo guardare al bagaglio culturale che ci portiamo dietro e al segno che abbiamo lasciato sul mondo”.

Intervenendo sul legame tra il film e il tema del colonialismo, ha aggiunto: “All'epoca sembrava radicale, decidemmo che solo pochi di noi sarebbero andati a Mumbai. Avremmo lavorato con una grande troupe indiana e cercato di realizzare un film all'interno della cultura. Ma è comunque un metodo imperfetto perché resti un estraneo. Quel tipo di appropriazione culturale può essere tollerato in certi momenti ma in altri no”.

Convinto che oggi farebbe scelte molto diverse da quelle compiute in passato, ha concluso: “Sono fiero di quel film ma oggi non ti verrebbe nemmeno in mente di fare una cosa del genere e non verrebbe neppure finanziata. Anche se fossi coinvolto cercherei un giovane regista indiano per dirigerlo”.

Giovanni Scanu

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