Spesso confusa erroneamente con l’artrosi, l’artrite è una malattia infiammatoria che può colpire soggetti di ogni età, con sintomi chiari (dolore, gonfiore, arrossamento, rigidità e un aumento della temperatura delle articolazioni interessate) sui quali è possibile intervenire, a differenza dell’artrosi che è invece una malattia degenerativa cronica che colpisce soprattutto i pazienti over 50. Ma come si arriva a una diagnosi di artrite?

La sintomatologia

I sintomi dell’artrite possono rimanere silenti per anni e presentarsi (o ripresentarsi) all’improvviso, con gradi diversi di intensità. A livello fisico, i sintomi principali sono dolore articolare, rigidità, deformità, tumefazioni, gonfiore, una sensazione di calore sull’articolazione colpita, stanchezza e febbre. Ma l’artrite porta con sé anche diverse complicazioni psicologiche e sociali che troppo spesso vengono sottovalutate: anche se grazie ai rimedi attuali non si arriva più alla deformazione articolare che si poteva verificare fino a una ventina di anni fa, il paziente affetto da artrite rischia di essere meno performante sul lavoro, di avere difficoltà a livello psicologico con un senso di ansia, depressione e di mancata autonomia, fino a sviluppare una tendenza all’isolamento a causa delle difficoltà che possono generarsi nell’ambiente di lavoro o scolastico. In casi del genere, è opportuno che il paziente non venga seguito solo dallo specialista (generalmente il reumatologo), ma anche da una figura in grado di fornire un supporto psicologico per evitare che il problema possa degenerare e impattare ancora di più sulla vita quotidiana del paziente.

Arrivare alla diagnosi

Lo specialista deve innanzitutto partire da una anamnesi dettagliata e scrupolosa: esistono infatti diverse tipologie di artriti, ognuna da trattare in maniera adeguata. Le principali varianti sono: l’artrite reumatoide, la cui causa è ancora sconosciuta nonostante la grande diffusione; l’artrite settica, che è provocata da germi, virus o funghi che arrivano all’interno dell’articolazione; l’artrite psoriasica, che presenta sintomi simili alla reumatoide, ma è generalmente presente in soggetti che hanno problemi di psoriasi; l’artrite reattiva, molto diffusa tra i giovani e che colpisce generalmente gli arti inferiori, e prende il nome in quanto frutto di una risposta articolare a un’infezione a distanza; l’artrite gottosa, provocata da un accumulo di cristalli di urato di sodio nelle articolazioni e che può diventare cronica, rendendo così più complesso un intervento da parte del medico. Grazie all’anamnesi dettagliata, lo specialista può orientarsi verso la corretta tipologia di artrite e procedere con l’esame obiettivo, il cui scopo è di rintracciare la presenza di flogosi (l’infiammazione) nell’articolazione. Il medico non può però limitarsi all’esame delle articolazioni ma deve effettuare una visita completa, per far sì che emergano eventuali alterazioni del quadro della malattia. In base ai sospetti emersi da anamnesi ed esame obiettivo, si rende poi necessario lo svolgimento di esami di laboratorio o strumentali con fine non esclusivamente diagnostico ma anche prognostico, per andare poi a definire il miglior approccio terapeutico per il paziente.

Il trattamento

Se si esclude l’artrite di origine infettiva, non esiste ancora un trattamento definitivo per curare l’artrite. Esistono invece numerosi approcci terapeutici, non necessariamente farmacologici, in base alla singola tipologia di artrite. Queste soluzioni consentono di tenere sotto controllo la malattia in maniera efficiente, anche se, come per molte altre patologie, diventa essenziale una diagnosi precoce per poterne affrontare in maniera tempestiva la gestione. L’obiettivo principale dell’approccio terapeutico è la riduzione del dolore, oltre all’aumento della mobilità. Due fattori che consentono di migliorare notevolmente la qualità della vita del paziente.

Oltre ai numerosi approcci farmacologici, in alcuni casi può essere sufficiente un periodo di riposo per l’articolazione, da abbinare poi a un’attività fisica moderata per riprendere la piena funzionalità dell’articolazione coinvolta. Spetta sempre allo specialista individuare la formula corretta.

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