Rosi Mauro, la "strega nera" della (vecchia) Lega
I big della politica, dello spettacolo e dello sport un tempo sulla cresta dell'onda oggi spariti dalla scena: che fine hanno fatto?Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Capelli scuri, piglio sicuro, sguardo che non ammette repliche. E, soprattutto, è lì da sola. Su un palco improvvisato, a mettere in riga una schiera di tranvieri infuriati.
Quando Umberto Bossi vede una giovanissima Rosi Mauro a Milano, a fine anni Ottanta, gestire un comizio sindacale, scatta qualcosa in lui, nonostante (il "nonostante" è d'obbligo) le sue origini pugliesi. Un fascino ricambiato, perché Rosi molla tutto e abbraccia la causa padana.
Sarà un idillio non destinato a durare per sempre.
GLI INIZI - Nata nel 1962 a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, e vissuta fino a 14 anni a Squinzano, nel Leccese, il papà di Rosa Angela Mauro fa l'agricoltore nell'azienda vinicola Mazzotta, sua mamma è operaia alla Manifattura Tabacchi e casalinga.
Lei si trasferisce a Milano da ragazza, dopo il diploma di ragioneria: a 21 anni entra in un'azienda metalmeccanica iscrivendosi poi alla Uil. È una sindacalista nata e quando Bossi la vuole con sé nell'avventura leghista non resta deluso.
Rosi è una che si infuria, urla e si sbraccia, impossibile non notarla. Nel 1999 diventa segretario del Sindacato Padano, il SinPa, e da lì comincia la sua irresistibile ascesa ai vertici del Carroccio, diventandone di diritto il "ministro plenipotenziario".
In un battibaleno si ritrova con tre incarichi: oltre che attivista del sindacato filo Lega, è segretario cittadino a Milano e consigliere comunale.
IN SENATO - Quando la Lega comincia a crescere, Mauro si guadagna un posto in prima fila: nel 2005, diventa consigliere regionale. Nel 2008 il Carroccio vince con la coalizione del centrodestra con il Popolo della Libertà e il Movimento per l'Autonomia, ottenendo l'8,30% alla Camera e l'8,06% al Senato, e a Mauro spetta la poltrona di vicepresidente del Senato.
È un momento d'oro per la Lega: il Senatùr diventa ministro alle Riforme per il Federalismo, Roberto Calderoli alla Semplificazione normativa, Bobo Maroni all'Interno e Luca Zaia alle Politiche agricole.
Negli anni Rosi diventa l'ombra di Bossi. Entra a far parte del suo entourage più intimo: del "cerchio magico", definizione che poi sarà ripresa per mille e altre compagini politiche. Ne diventa il capo. Anzi, "la capa", assieme alla moglie di Bossi, Manuela Marrone. "Saremo pronti a difendere la libertà del Nord - le sue parole da 'legionaria' -. Ma anche a proteggere Bossi perché è il bersaglio numero uno: meglio vigilare che piangere dopo".
Tra i due c’è un rapporto particolare, su cui la stampa si butta a capofitto, andando a ripescare le immagini di un bagno in piscina a Ponte di Legno, il quartier generale leghista estivo, con Bossi che – appoggiandole con malagrazia mano tra le gambe - la "accompagna" in un tuffo in acqua.
La vicinanza al vertice la rende però vulnerabile e Mauro, suo malgrado, comincia a raccogliere più di una voce di dissenso. Da "la pugliese" diventa "la terrona", la strega, la badante, la Pantera nera.
E quando sulla Lega si abbatte lo scandalo, è tra le prime a finire caposotto.
IL PROCESSO – Il corso della giustizia colpisce il cuore del Carroccio nel 2012: nel mirino i rendiconti irregolari che il partito presenta tra il 2008 e il 2010 in Parlamento per ottenere indebitamente fondi pubblici. Denaro che finisce nelle tasche della famiglia Bossi.
Tra gli indagati c'è anche Rosi Mauro, accusata di aver comprato diamanti con i soldi del partito. E per lei, prima ancora del pronunciamento finale di un giudice, è l'inizio della fine. Non aiuta l’atto di acquisto, risalente al 2009-2010, di due mansarde gemelle in Sardegna, a Cala Bitta, una delle quali è del bodyguard (e presunto amante) Pierangelo Moscagiuro (famoso, per dirne una, per aver inciso con Enzo Iacchetti il singolo "Kooly Noody" con il nome d’arte di Pier Mosca).
Vengono chieste in massa le sue dimissioni dalla carica di vicepresidente del Senato, e a voltarle le spalle sono anche i triumviri reggenti della Lega, Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Del Lago.
Lei rifiuta le dimissioni e resta aggrappata alla poltrona. "È la prima volta che dico no ad una direttiva politica del mio partito e mi costa molto", dice in lacrime a Porta a porta. Il prezzo da pagare, in effetti, è altissimo: viene espulsa dalla Lega su decisione del consiglio federale del partito.
Da quel processo, a dispetto degli altri imputati, uscirà innocente: "Io fui fatta fuori - racconterà in un'intervista a La Stampa - quando non ero neanche indagata. Maroni venne da me e mi disse untuoso 'fatti da parte per qualche mese, così si chiarisce tutto'. 'Ma perché mi devo far da parte, Roberto? Io non ho mai rubato nulla', gli risposi. 'Dimmi il vero motivo, dimmi la verità, che mi volete fare fuori'".
"Morale: io non fui ricandidata, ci fu l’indagine, fui assolta perché la Procura verificò che non avevo intascato un soldo, e gli unici li avevo girati, e avevo tutta la documentazione, al sindacato".
E OGGI CHE FINE HA FATTO? – Dopo l’archiviazione delle accuse a suo carico, Rosi Mauro non ha mai avuto quella riabilitazione che sperava. I "barbari sognanti" - la corrente maroniana che, ramazze alla mano, voleva distruggere il cerchio magico di Bossi - nel 2012 hanno avuto la sua testa. Chi avrebbe immaginato solo sei anni fa che sarebbero stati i primi ghigliottinati dall’uomo forte della nuova Lega, Matteo Salvini, colui che ha stralciato la parola Nord per rendere il partito della Padania il movimento populista per eccellenza, da Lampedusa ad Aosta?
Ma se nella nuova Lega non c'è più spazio per Maroni, figuriamoci per Rosi Mauro che però, negli ideali della "prima" Lega, non ha mai smesso di credere: negli ultimi tempi fa la volontaria per il Sindacato Padano, quello da cui tutto è cominciato. Ha fondato un "movimento territoriale", "Siamo Gente Comune", con "l'obiettivo di tutelare e difendere il nostro territorio e i cittadini".
Nessuno, neanche Bossi l’ha mai richiamata dopo lo scandalo. E lei, qualche sassolino dalla scarpa se lo doveva pur togliere. Ed eccola al processo contro i Bossi e Belsito, a marzo 2017, dichiarare, senza battere ciglio che, di quegli investimenti: "Belsito mi ha sempre detto che Bossi sapeva tutto".
"A dispetto della Lega – ha detto in una delle sue ultime interviste, a Panorama - io ho creduto e credo ancora all’autonomia vera, che vale per tutti, da Nord a Sud, perché autonomia significa essere responsabili delle proprie azioni, del proprio lavoro, del proprio territorio. Ed io queste cose le ho nell'anima, non solo nelle parole. Ognuno deve fare i conti con la propria coscienza. La mia è a posto".
Angelica D'Errico
(Unioneonline)