Non passa giorno che non si senta discutere del tanto atteso voto di domani 9 dicembre sulla riforma del Mes e di come, proprio quel voto, potrebbe, in ipotesi ed in tesi, costituire un serio rischio per la tenuta dell’attuale esecutivo. Potrebbe pure essere, chissà, ma sinceramente mi pare davvero poco probabile quanto meno per un duplice e superiore ordine di ragioni: innanzitutto, perché il Meccanismo Europeo di Stabilità, detto comunemente MES, non è certo il “coniglio” magicamente “uscito dal cilindro” solo nel corso di questi ultimi mesi posto che esiste – ed aggiungo io, disgraziatamente – fin dall’anno 2012 in risposta avverso le conseguenze pregiudizievoli di una crisi finanziaria internazionale che aveva avuto pesanti contraccolpi anche nel nostro bell’antico Continente Europeo; poi, perché sollecitare una crisi di governo in un momento come questo, per moltissimi attuali “abitanti” del Parlamento, si tradurrebbe, nella migliore delle ipotesi, in un biglietto di solo ritorno verso la propria “anonima” vita “di prima”, verso le proprie abituali e quotidiane “occupazioni” ante “Politiche” 2018, laddove effettivamente esistenti.

Ed il vertice di maggioranza conclusosi proprio nel corso di questo pomeriggio sembra confermare l’impressione espressa. Mi stupisce, pertanto, e non poco, aver dovuto e dover assistere ad un dibattito partitico/interno e mediatico/esterno che, a ben considerare, si qualifica né più né meno che alla stregua di quelle pure e semplici questioni cialtrone di “lana caprina” che tutto vorrebbero significare ma che alla fine nulla paiono lasciare intendere e/o stabilire ma che sono certamente solo utili, lo riconosco, a trascorrere le serate davanti alla tv. Una sola cosa è davvero fondamentale per il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, ossia ottenere un mandato parlamentare chiaro ed incontestabile da far “pesare” sul tavolo delle trattative a Bruxelles. Il che equivale a lasciar intendere ai contraddittori europei l’esistenza di un governo nazionale rafforzato dall’elaborazione di una linea comune sulle questioni più spinose della politica estera. Dinanzi ad un obiettivo tanto ghiotto, pertanto, assecondare i capricci puerili, e per certi versi risibili, dei partiti sull’orlo del precipizio, quali una Forza Italia (salve le gloriose e bene accette unità di “tiratori franchi”) apparentemente sempre più asservita alla Lega, ed una Italia Viva alla ricerca spasmodica di un riflettore da canalizzare sul suo “vorace” leader, e che nonostante l’intesa testé raggiunta sul testo della risoluzione consentirà ai suoi capigruppo la apposizione della firma solo dopo aver ascoltato l’intervento in aula di Conte, sarebbe un errore madornale idoneo a compromettere una volta per tutte la posizione di privilegio raggiunta dallo stesso “Premier” all’interno dell’Unione, ove “l’Italia”, finalmente, “partecipa ai processi riformatori europei con un ruolo da protagonista” (Giuseppe Conte). E siccome a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca sempre, come diceva Giulio Andreotti, nulla esclude – siamo nell’ambito delle ipotesi aventi un valore puramente argomentativo - che il fine ultimo degli “oppositori” alla Riforma del Mes sia proprio, e solo quello, di arrestare con ogni mezzo l’ascesa politica dell’intraprendente e temperante Professore Pugliese Giuseppe Conte in barba al miglior interesse comune.

La giornata di domani, pertanto, salvo imponderabili accadimenti non assoggettabili a dinamiche razionali e razionalizzanti, non ci riserverà grosse sorprese. “Schermaglie” sì, anche tante, ma tutte “d’amore”: si è litigato, si litiga e si litigherà solamente per poi fare la pace e portare a compimento l’intera legislatura perché lo spirito di “sopravvivenza” prevale sempre su tutto, anche sulla ideologia. Ed intanto, nel mezzo, “Pantalone”, “cornuto e mazziato”, “paga”. Purtroppo e per fortuna, votare “sì” al testo di Riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, allo stato attuale, costituisce un percorso obbligato, e l’Italia, considerata la sua linea marcatamente e dichiaratamente Europeista, non può in alcun modo deludere le aspettative benché Lega e Fratelli d’Italia si ostinino a portare avanti la loro sorda, quanto vuota, propaganda sovranista euroscettica urlata nelle Piazze ma mai tradottasi in proposte realmente costruttive per essere rimasta, quella propaganda si intende, per un verso, allo stato di mera e paradossale “denuncia” dei potenziali problemi esistenti, e siccome “dimentica”, per altro verso, quella stessa propaganda, che il “lamentare” il problema è compito generale della popolazione, mentre, viceversa, risolverlo e/o cercare il modo per farlo, è invece compito della Politica e dei Suoi Leader che tutto dovrebbero fare fuorché lasciarsi andare ad un inglorioso capovolgimento dei ruoli solo per “mascherare” una loro realistica incapacità di intervento pratico. Tanto detto, tuttavia, non sarà forse superfluo chiarire, a scanso di equivoci, che la consapevolezza della necessità di procedere alla Riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità nel senso indicato dall’Eurogruppo non si traduce in una acritica genuflessione nei confronti dei grandi Poteri Europei: il Mes ha e continua ad avere una natura fortemente assolutistica che va ad incidere profondamente sull’apparato democratico del Paese che dovesse malauguratamente trovarsi nella condizione di doverlo attivare, siccome lo impegnerebbe nell’attuazione di una serie di riforme che solo il Governo in carica dovrebbe verosimilmente calendarizzare, discutere e sottoporre ad approvazione.

Un “do ut des”, insomma, che sembra essere il pegno da pagare per l’appartenenza ad un apparato sovranazionale in via di trasformazione in cui l’Italia, a giocar bene le carte a disposizione, potrebbe riappropriarsi di una posizione di privilegio in considerazione della sua universale posizione geograficamente strategica sul Mediterraneo che la rende punto di snodo tra civiltà e mercati, asiatici soprattutto. Giuseppe Conte, nel contesto, è il “filo rosso” che tiene stretta a se la sua maggioranza di governo e che, nello stesso tempo, connette quest’ultima all’Europa. Lo ha dimostrato chiaramente durante tutti questi lunghi mesi trascorsi tra difficoltà ed emergenza. In questa ottica va pure letta la decisione sofferta del Movimento 5 Stelle, il quale, per bocca del suo Capo Politico Reggente Crimi, ha avuto modo di rassicurare gli alleati sugli esiti favorevoli del voto in Parlamento: “Questa Riforma cerca di cambiare il Mes, a noi questa Riforma non piace, ma mentre a dicembre 2019 potevamo permetterci di dire assolutamente no, oggi siamo in un anno in cui c’è una crisi pandemica, in cui l’Ue ha dimostrato di mettere in campo strumenti nuovi. Oggi dobbiamo guardare avanti. Questa Riforma è un modo per chiudere il capitolo” (Crimi nel corso di una intervista condotta da Lucia Annunziata). Insomma, parafrasando ed adattando un antico detto comune, “quando il voto si fa duro, i duri cominciano a votare”, e probabilmente, come spesso accade, non tutti i mali verranno per nuocere anche perché, diversamente da quanto taluni hanno pervicacemente tentato di sostenere, la attuale riforma non parrebbe imporre alcuna relazione necessaria tra la eventuale richiesta di aiuto economico da parte di uno Stato Membro in condizione di difficoltà e la prescrizione vincolante di una ristrutturazione del debito pubblico. Nel frattempo, ed in attesa del verdetto finale, non ci resta che attendere che passi la nottata.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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