“Piazze Piene, Urne Vuote” (cit. Pietro Nenni), si è sentito esclamare negli utimi giorni. Ma se la politica debba realmente considerarsi azione collettiva, allora le Piazze recenti, quelle composte, rispettose ed ordinate, animate e motivate nella circostanza dal sentire comune nei confronti della causa palestinese per chiedere il rispetto del diritto internazionale e del diritto umanitario in particolare, hanno rappresentato un momento di significativa mobilitazione popolare. E probabilmente, non sarebbe propriamente corretto ritenere che proprio quelle Piazze siano legate a specifiche sigle politiche le quali, invero, sembrerebbero più che altro averle seguite e cavalcate. In realtà, quelle stesse Piazze sembrerebbero volersene allontanare, esprimendo quella diffidenza sottile tra azione politica e bisogni della popolazione che oramai da anni imperversa e che parrebbe riflettersi proprio nel vuoto delle urne, nell’astensionismo propriamente detto.

Quelle Piazze, gremitissime certamente, ma che non hanno comunque incluso la totalità dei cittadini, dicendolo forse diversamente, sembrerebbero l’espressione ed il riflesso della “distanza” esistente tra buona parte dei cittadini e le Istituzioni, quasi incapaci, queste ultime, di riconoscerne i bisogni nell’ottica del presente e nella costruzione del futuro. Se le forme di partecipazione politica mutano assai velocemente, non altrettanto velocemente si muove la capacità dei partiti di interpretarle. E magari (la formula dubitativa si impone) questo succede proprio perché il fenomeno della mobilitazione intenderebbe affermarsi in netta contrapposizione alle attuali formazioni partitiche, le quali, negli anni, parrebbero aver proceduto nel senso della involuzione sistemica divenendo quasi impermeabili rispetto alle esigenze ed alle aspettative delle loro basi elettorali.

Ma come si possono allora interpretare fattivamente queste forme di protesta, se così si possano definire? Si avverte il bisogno di nuove forme di progressismo politico che siano in grado di accompagnare l’intervenendo mutamento del tessuto sociale mediante il componimento di politiche finalisticamente orientate in campo sociale ed economico? Il socialismo liberale e democratico può a tutt’oggi rappresentare una risposta al conservatorismo?

Gli interrogativi sono tanti e molti altri potrebbero porsene. Altrettanto numerose e differentemente articolate potrebbero essere le risposte in base alle differenti sensibilità individuali. In un momento caratterizzato da profondo cambiamento in ambito economico, sociale ed ambientale sembra avvertirsi in maniera sempre più imponente il bisogno di concretezza nell’azione politica, di una sintesi idonea ad esprimere una progettualità avvertita come mancante nelle forze partitiche tanto di governo, che sarebbero funzionalmente chiamate ad idearla e ad attuarla, e di opposizione, allo stato prive di alternative efficaci. Si avverte quasi l’esigenza generalizzata di ritrovarsi in un contesto fisico rinnovato ed utile di discussione politica a misura di cittadino all’interno del quale promuovere l’azione politica necessaria ad esprimere una progettualità per la crescita sociale in ogni ambito della quotidianità nel medio e lungo termine.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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