Malgrado i timidi tentativi di riavvicinamento intercorsi nelle ultime ore tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte, non accennano a placarsi le tensioni in casa 5Stelle: il primo, infatti, insiste nel voler conservare a tutti i costi il suo ruolo di “garante” del Movimento, mentre il secondo, dal canto suo, non intende lasciarsi esautorare per essere relegato ad un ruolo apicale marginale di pura e semplice rappresentanza formale.

La questione si pone nei termini della forma prima ancora che in quelli più concreti della sostanza, dal momento che, ancora a tutt’oggi, e malgrado la “querelle gentile” in corso tra i leader, non è dato conoscere né la consistenza, né la base ideologica, di quello che dovrebbe essere, nel prossimo divenire, il rinnovato Movimento e/o Partito che dir si voglia. Circostanza, quest’ultima, che, sia pure indirettamente, induce a ritenere che la conformazione del neo - formando gruppo politico “in fieri” dipenderà solo ed esclusivamente dai “desiderata” e dalla formazione ideologica della sua guida designanda.

Una riflessione su tutte, sia pure variamente articolata, tuttavia, va portata all’attenzione generale per essere opportunamente valutata: 1) se l’intento, secondo quanto originariamente annunciato, è quello di “trasformare” il Movimento adeguandolo alle già intervenute mutazioni e scissioni interne per tentare di ricomporlo malgrado la sua indiscutibile eterogeneità, allora, appare evidente a chicchessia che ogni eventuale compartecipazione di Bebbe Grillo, con buona sua pace, non possa che essere corrispondentemente ridimensionata onde evitare commistioni inopportune, quanto estemporanee, con un passato “ideologico” recente non più rispondente, e/o confacente, al divenire di un Movimento che vuole “riscoprire” se stesso “aggiornando” non solo la propria agenda politica, ma anche, e soprattutto, le finalità da perseguire; 2) il desiderio impellente del Gruppo Penta-Stellato, specie di quello strettamente “Parlamentare”, di disporre di un leader politico carismatico (il cosiddetto “Culto del Capo”), costituisce sempre terreno fertile per l’impiego strumentale della propaganda; 3) al proposito, è appena il caso di ricordare che proprio la propaganda anti-casta delle origini aveva favorito la rapida ascesa del Movimento e dei suoi dirigenti dapprima a una posizione di potere politico e, poi, al controllo del Parlamento nella sua interezza attraverso lo “sfruttamento” di legittime dinamiche alternative alle urne tipiche dell’establishment maggiormente avversato. Ebbene: la “querelle” tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte, per quanto abbia del grottesco nella sua articolazione dinamica, esprime il riflesso di una “sintesi” di difficile configurazione concettuale, ossia la necessità di portare avanti, e farsi promotori, ciascuno a proprio modo, di una correzione del sistema attraverso le riforme, e non necessariamente attraverso una nuova rivoluzione, siccome all’interno delle disparate correnti che caratterizzano il Movimento si allineano altrettante posizioni sfumate sostenute da gruppi anche molto diversi e distanti tra loro.

In buona sostanza, e per intenderci, quand’anche la linea intransigente del “Comico Padre Fondatore” possa contare sull’appoggio dei cosiddetti “nostalgici”, i quali sembrano voler guardare a Di Battista quale nuovo capo politico, tuttavia, quella medesima linea, non sembra disporre del consenso interno necessario ed utile per essere approvata e condivisa, siccome la “frattura” in corso non ha rilievo puramente interno e, pertanto, per comprendere bene i motivi di una scissione latente, siccome intervenuta gradatamente nel corso delle tre esperienze di Governo finora avvicendatesi, appare necessario guardare alla situazione contingente, la quale, a sua volta, per trovare uno sbocco sicuro ad una “impasse” svilente sul piano ideologico, necessita dell’elaborazione di una nuova forma vocazionale, financo di natura “pedagogica”, idonea a ri-programmare le priorità dei militanti per riunirli nuovamente sotto un’unica bandiera.

La mediazione tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte, in questo senso, e purtroppo, appare menomata dall’urgenza del dover provvedere invocata dall’impellenza dei tempi e delle cadenze di matrice squisitamente “governativo-parlamentare”, le cui ridotte prospettive di “resistenza” ai turbamenti interni del sistema, contribuiscono a rendere massimamente distanti le possibilità di un accordo duraturo. Una situazione di tal fatta, allora, non può che indurci a riflettere sui rischi cui potrebbe andare incontro l’attuale Governo Draghi allorquando, all’interno di uno dei partiti che lo compongono, nella specie quello “azionista di maggioranza”, si pretenda di voler concentrare il potere nelle mani di una sola Persona in totale dispregio di qualsivoglia doveroso principio di equilibrio democratico.

Non si tratta di una pura e semplice questione di leadership, la quale, tutto sommato, lascia il tempo che trova, quanto piuttosto di capire in che modo, questa instabilità persistente, tutta interna ad un Movimento 5 Stelle gravemente menomato, possa incidere sugli equilibri già compromessi dell’attuale “maggioranza arcobaleno”, la quale, perlomeno sul piano degli intenti, necessita della conservazione e del rispetto di un patto tacito di “resilienza” politica tutto sommato idoneo a rendere opaco ogni tentativo di compiuta trasformazione. Detto altrimenti, e più semplicemente: la adesione incondizionata dei penta-stellati all’attuale governo di unità nazionale è, paradossalmente, circostanza idonea ad impedire una loro compiuta trasformazione da perpetrarsi attraverso la scelta concreta di una leadership definita che potrebbe porsi addirittura in contraddizione aperta agli stilemi di un accordo di governo predisposto a tavolino. Sicchè, se il Movimento dovesse oggi implodere per l’incapacità della propria classe dirigente e dei propri leader di addivenire ad un compromesso utile alla conservazione degli equilibri democratici “interni” ed “esterni”, anche il “Governo Draghi” potrebbe verosimilmente subirne tutte le ripercussioni pregiudizievoli rischiando di non riuscire a giungere a fine legislatura. Situazione che imporrebbe ai diversi partiti che formano l’attuale maggioranza, e soprattutto al Partito Democratico ed alla Lega di Matteo Salvini, una rapida quanto improbabile (per essere allo stato indefinita) riorganizzazione interna di circostanza la quale, a ben considerare, si riverbererebbe a tutto vantaggio di Giorgia Meloni (e del suo Partito), siccome rimasta fieramente estranea a dinamiche di sopravvivenza strumentali e snaturalizzanti.

Giuseppina Di Salvatore 

(Avvocato - Nuoro)

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