Lezioni di politica: Matteo Renzi e l’arte del compromesso
L’Uomo delle Contraddizioni per eccellenza, per il ddl Zan cerca un punto di incontro tra forze contrapposte nell’interesse comune
Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Sulla questione relativa al ddl Zan “serve un compromesso per evitare di ritrovarsi senza niente”. Questi, in estrema sintesi, i contenuti salienti dell’intervento di Matteo Renzi il quale, come era lecito attendersi, e gioco-forza, non ha mancato di suscitare reazioni piuttosto accese ed articolate. Inutile negare, al di là ed oltre ogni ulteriore discussione, che cedere alle “pretese” riformatrici degli “oppositori” corrisponda, verosimilmente, a denaturalizzare i contenuti salienti e qualificanti del disegno di legge in discorso. Stupisce, comunque, nella specifica circostanza, che il “compromesso”, nei termini ristretti del richiamo operato dall’ex Sindaco di Firenze, sia stato espressamente rinnegato anche da quanti avrebbero voluto, ed ancora vorrebbero, aspirare al perseguimento della “democrazia diretta” quale forma di governo democratica nell’ambito della quale i cittadini potrebbero, senza alcuna intermediazione, esercitare direttamente il potere legislativo. E stupisce, altresì, sempre nella specifica circostanza, constatare che l’onere di ricondurre a conciliazione le dinamiche della dialettica “compromissoria” sia sorto proprio all’interno della maggioranza di “Governo di Unità Nazionale” e non, come sarebbe stato lecito attendersi, tra le forze di maggioranza, tutte coese nel perseguimento dell’unico fine comune, e quelle di opposizione, rappresentate, nella specie, dal solo Partito in ascesa (e non a caso) di Giorgia Meloni. Che si tratti di una chiara contraddizione di sistema, di un cortocircuito rivelatore di una debolezza endemica esistente, sia pure nelle forme della latenza “imposta” dall’alto, all’interno di un esecutivo creato ad arte per il perseguimento di finalità ancora tutte da compulsare con attenzione, pare non esservi dubbio alcuno. Tuttavia, se il “dialogo costruttivo” tra le parti dovesse venire definitivamente meno, come parrebbe realisticamente essere venuto meno (salvi ulteriori futuri sviluppi), si prospetterebbe solamente un duplice ordine di conseguenze, ciascuno rappresentativo, a suo modo, di una “degenerazione” e/o “involuzione”, se si preferisce, del sistema rappresentativo: 1) la imposizione forzosa di una ideologia precostituita da parte di una soltanto (Partito Democratico da una parte e/o centro-destra/Italia Viva dall’altro) delle forze parlamentari espressione “rafforzata”, in questo caso, della maggioranza; 2) il “cul de sac” decisionale.
Le conseguenze, in entrambi i casi, non potrebbero che ricadere direttamente sulla popolazione, la quale, oggi più che mai rispetto al passato recente, avrebbe piuttosto necessità di sentire massimamente garantiti i propri interessi specifici e, sulla base di questi, di fare affidamento su un impianto riformatore idoneo a rilanciare un Paese lasciato in ginocchio da una emergenza sanitaria pandemica dalla portata devastante.
La questione, ad onor del vero, sembra comunque più complessa rispetto a quanto appare, siccome parrebbe essersi definitivamente smarrito, in buona sostanza, il presupposto fondante del “costituzionalismo pluralista” e di “contrasto”, cosiddetto non a caso “dei bisogni”, che ha sorretto, nel corso di un passato non troppo recente, la cultura democratica maggiormente incline alla soddisfazione delle ragioni dei diritti delle persone declinati nella loro quotidianità contingente. Ed il fatto che sia stato proprio Matteo Renzi a ricordarlo, ossia l’Uomo delle Contraddizioni per eccellenza, sia pure nell’ambito di una discussione delicatissima direttamente inferente i diritti sacrosanti degli Individui più deboli dell’intero contesto sociale, e sia pure opportunisticamente e con differenti formule espressive, rappresenta il vero “punctum dolens” per tutti coloro (Matteo Renzi probabilmente, e paradossalmente, prima di chiunque altro) che, negli ultimi anni, hanno voluto imporre le forme “degenerative” ed in qualche modo “corruttibili” (nella loro funzione di “contaminatrici funzionali”) di un “costituzionalismo governante” e “neo-funzionalista” quale presupposto legittimamente della propria sopravvivenza politica. Mi domando allora: “la mediazione politica”, quale capacità di rinvenire un punto di incontro tra forze contrapposte nel migliore interesse comune, costituisce ancora un valore fondante del dibattito parlamentare, oppure l’esigenza, marcatamente oltranzista, del “decidere” in maniera “unidirezionale” ad ogni costo ed in ogni caso è divenuta essa stessa presupposto fondante della dinamica dialettica governativa? Il paradosso è oltremodo evidente: il Parlamento, come spesso da più parti sottolineato, sembra essersi definitivamente trasformato per aver progressivamente perduto la sua connaturale conformazione di “luogo di discussione” ed aver assunto quella, in qualche modo innaturale, di “luogo di sola decisione”, siccome chiamato ad una pura e semplice attività di ratifica di provvedimenti frutto di accordi politici intervenuti e perfezionatisi “aliunde” spesso in maniera autoreferenziale. In un contesto siffatto, potrebbe apparire piuttosto elementare comprendere le intenzioni del Leader di Italia Viva sussumibili come in appresso: intestare alla sua persona la paternità di una potenziale, quanto fantasiosa, “alleanza compromissoria” di circostanza tra “gruppi politici” chiusi (in quanto frammentari rispetto alle formazioni partitiche di appartenenza) e refrattari al contraddittorio parlamentare siccome scarsamente rappresentativi a livello politico; perseguire, attraverso (ed in forza di) una “anomalia” dialettica dell’attuale sistema parlamentare, un “assestamento strutturale” di quel medesimo sistema fondato sulla cosiddetta “diversità tra uguali” nella complessità della compagine parlamentare, considerata la situazione politica attuale caratterizzata, ed altrimenti non avrebbe potuto essere, né potrebbe essere, dalla progressiva perdita di identità delle varie forze politiche che sono andate a costituire la “maggioranza”.
Matteo Renzi è sicuramente l’Uomo delle divisioni, ed anche la sola idea di dover assecondare un invito alla “mediazione” proveniente dal “rottamatore” è di per sé sola idonea a suscitare la pelle d’oca se si vuole riflettere sulle dietrologie riconducibili ad ogni sua singola iniziativa. Ma la politica è certamente l’arte del “compromesso”, e guai se così non fosse, perché deve costantemente sapersi fare espressione di interessi molto spesso contrapposti tutti parimenti meritevoli di tutela. Il Partito Democratico, in questo senso, è direttamente chiamato ad offrire una prova di rappresentatività, di coerenza progettuale e di consapevolezza. E dalla sua capacità di gestire la “trappola” renziana potrebbe addirittura dipendere la sua sopravvivenza futura. Dal canto suo, la Destra di Matteo Salvini, dovrebbe parimenti guardarsi le spalle rispetto all’ “endorsement” prestato da Italia Viva siccome direttamente idoneo ad incidere, nel prossimo futuro, sugli equilibri delle alleanze all’interno di un centro-destra attualmente indebolito proprio dalla mancanza di un “centro” forte e rappresentativo. Ma anche a voler prescindere dagli assetti parlamentari futuri, se, e in che modo, prevarrà l’esigenza di assicurare le tutele garantite dal ddl Zan, oppure quella imposta dal conflitto muscolare ad ogni costo in nome di una prevalenza politica attualmente “scritta” solo sulla “sabbia”, dipenderà proprio dal coraggio del Partito Istituzionale per eccellenza, quello Democratico per l’appunto, di riscoprire il significato autentico del “compromesso” quale strumento di mediazione necessaria a garantire la compattezza del sistema ed il riconoscimento dei diritti.
Giuseppina Di Salvatore
(Avvocato – Nuoro)