E voto fu: era inevitabile, ma non per responsabilità colposa e/o dolosa di qualcuno, quanto piuttosto per legittimo esercizio del diritto al dissenso manifestato da chi ha visto definitivamente compromessa la propria impostazione ideologica di base rispetto a taluni provvedimenti autoreferenziali imposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri nel contesto di un Governo di sedicente Unità Nazionale mortificativo, a priori, dell’identità dei singoli.

Non era scontato, seppure prevedibile, e di certo ha colto di sorpresa quanti fossero stra-convinti, per evidente tornaconto comune, che si sarebbe arrivati alla conclusione naturale della legislatura senza subire troppi scossoni. Non è andata così. Torneremo alle urne il giorno 25 del mese di settembre dell’anno 2022, e credo che la data sarà di quelle da ricordare. Saremo chiamati ad esprimere la nostra preferenza per l’elezione dei nostri rappresentanti nel contesto di un Parlamento drasticamente ridotto sul piano numerico e, comunque, lo faremo consapevoli di veder compromessa l’espressione di quella preferenza per via di un insanabile vizio d’origine, per essere essa regolata da una legge elettorale, il Rosatellum, che più che garantire la governabilità sembra fatta apposta per favorire la promiscuità e, di conseguenza, l’instabilità politica nell’esercizio dell’attività di governo.

Intendiamoci: si tratta di sano esercizio democratico e, semmai, sarebbe stato doveroso, da parte nostra, riflettere attentamente se si fosse verificata la contraria evenienza, ossia se l’attuale Parlamento avesse optato convintamente per la prosecuzione delle proprie attività sotto l’egida di una pretesa unità nazionale a trazione Mario Draghi probabilmente esistente solo nei pensieri del nostro amato Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La circostanza, peraltro, torna utile per apprezzare la consistenza della attuale classe dirigente che avrebbe la pretesa di rappresentare il Paese nel prossimo quinquennio, la quale, invero, non riesce a nascondere, neppure per senso di decenza istituzionale, la propria incapacità ed impreparazione. Per dovere di chiarezza: se dalle parti della coalizione di centro-destra, nella totale assenza di contenuti calibrati sulla situazione economica e sociale corrente, Forza Italia e Lega sembrano voler affidare gli esiti della campagna elettorale fondandola su argomenti storici e datati, noti per essere stati i cavalli di battaglia dei due partiti di riferimento negli anni 1994 e 2018, dalle parti del centro-sinistra Enrico Letta, pur avendo l’onere e l’onore di dirigere il Partito per eccellenza nella storia della Repubblica Italiana, pare proprio collocarsi alla stessa stregua di un neo-patentato che manifesta la pretesa di voler guidare una “Ferrari Testa Rossa” (Partito Democratico) usando gli accorgimenti utili a condurre, semmai, una “Ape Cross” (ovvero un partito di neo-formazione e di poche pretese, utile a far quadrare il cerchio in termini percentualistici, ma assai poco determinante se singolarmente inteso). Detto altrimenti: dalle parti del centrosinistra, sembrano non aver ancora raggiunto la consapevolezza della propria potenza espressiva per essere troppo concentrati, per un verso, sulle loro lotte intestine, e, per l’altro verso, per essersi assisi sulla convinzione di dover combattere un fascismo latente esistente unicamente, e per fortuna, solo nel ricordo di quanti quel momento storico lo abbiano effettivamente vissuto.

Eppure, sembra incredibile lo so, ma questo appare essere lo stato dell’arte ad appena due mesi dal vicinissimo appuntamento elettorale. Ma non finisce qui, ahinoi. La proprietà commutativa è una proprietà algebrica che caratterizza l’addizione e la moltiplicazione, e stabilisce nel primo caso che “cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia”, e nel secondo che “cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia”. Il richiamo non è operato in maniera casuale e serve a stigmatizzare il contenuto della composizione soggettiva di questa tornata elettorale che, inevitabilmente, sul piano delle candidature, andrà a premiare i cosiddetti “cerchi magici” esistenti all’interno dei diversi partiti concorrenti, conseguendone che, ad andarci bene (e faccio per dire), ci ritroveremo con un Parlamento di consistenza ridotta “manipolato” dagli oramai notissimi “big di partito”, assai poco inclini ad abbandonare il proprio bisogno di “protagonismo” ma che, nel corso delle varie legislature trascorse, si sono già accreditati per la loro inconsistenza funzionale e strumentale. Insomma, per dirla “papale papale”: non assisteremo verosimilmente ad un ricambio sano e sereno della classe dirigente, ma saremo chiamati, nostro malgrado, ad esprimere un qualunque voto che, con buona verosimiglianza, potrà garantire “gli appetiti” dei potenti di Palazzo. Questa è la sensazione che se ne ritrae. Si avranno di sicuro nuovi equilibri parlamentari ed inediti rapporti di forza in ragione della contemporanea coesistenza di un sistema maggioritario e di uno proporzionale, ma la consistenza soggettiva delle rappresentanze sarà né più né meno una “minestra riscaldata” troppo indigesta per poter essere digerita. Né potrà essere altrimenti siccome il “Rosatellum”, nel prevedere un sistema elettorale misto necessitante di correttivi non ancora attuati, dispone che un terzo dei seggi tra Camera e Senato venga eletto in collegi uninominali, quindi tramite un sistema maggioritario, mentre i restanti due terzi dovrebbero restare divisi tra i vari partiti rispettando letteralmente i risultati percentuali che essi andranno a totalizzare all’esito del voto, ossia saranno ripartiti attraverso un sistema di carattere proporzionale.

Se dunque, con riferimento ai collegi uninominali, sembrano volersi favorire le coalizioni tra partiti differenti con ogni immaginabile conseguenza, il vero dilemma resta la suddivisione dei seggi tra partiti (si perdoni la inevitabile ripetizione), del tutto idonea a far pendere potenzialmente ovunque l’ago della bilancia. In buona sostanza, l’eventuale conta, andrà a premiare, alla fine della fiera, e salvo errore, soprattutto nei collegi uninominali, chiunque avrà totalizzato un voto in più rispetto agli altri nel collegio. Il tutto andrà parametrato sulla scorta di una soglia di sbarramento del 3% dei voti su base nazionale per i vari partiti in competizione, e del 10% per le coalizioni tra partiti. La conseguenza potrebbe essere a dir poco paradossale.

Prendendo in considerazione i sondaggi attualmente in essere, si arriverebbe alla situazione per cui, a tutto voler considerare, tanto Fratelli d’Italia quanto il Partito Democratico potrebbero ritrarre un vantaggio e una convenienza maggiore laddove avessero il coraggio di correre in solitaria, siccome offrirebbero al Paese una immagine identitaria contrapposta e ben distinta che inconsapevolmente andrebbe ad incidere sull’orientamento dei cittadini disorientati da tanti, troppi anni, di promiscuità governativa e ricerca spasmodica di individualità perdute. Con buona pace del resto del centro-destra e del centro-sinistra, ovviamente, divenuta invero una semplice accozzaglia di ideologie tutte ancora da definire. Di certo non farà un buon affare chiunque abbia l’ardire di associare in coalizione Matteo Renzi e Giggino Di Maio solo per puro e semplice tornaconto elettorale, ammesso e non concesso che quel tornaconto esista poi anche solo sulla carta. E di certo, anche a voler tutto considerare, gli esiti di questa tornata elettorale sono tutt’altro che scontati se vogliamo tenere in considerazione il fattore “X” largamente diffuso: l’astensionismo. Che si badi bene: non è mancato esercizio di un diritto, quanto piuttosto legittimo esercizio silenzioso di dissenso meditato conseguente ad una proposta politica poco dignitosa, indegna, per ciò stesso, di poter essere presa in considerazione.

Questa tornata elettorale, per impostazione votata al fallimento, potrà ritornare utile solo se i vari Partiti troveranno il coraggio di portare ad un regime di quiescenza forzosa le vecchie classi dirigenti per offrirne di rinnovate e fattive all’insegna della preparazione e del rigore morale quali caratteristiche intransigenti di un’autentica rappresentanza del Popolo Sovrano. Le “ammucchiate” deformi e stonate hanno fatto il loro corso. La corsa è quindi a due: non Letta-Meloni, ma Fratelli d’Italia contro Partito Democratico, destra contro sinistra, “tertium non datur” sebbene il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte rappresenti una variabile di non poco conto del tutto capace, malgrado i pronostici, di scompigliare gli assetti del percorso. È tutto pur sempre nell’ordine naturale delle cose. Ogni resto è puro e semplice corollario riservista.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)

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