Emergenza e governabilità: il punto di forza dell'azione politica di Conte
Verso il rinnovamento intransigenteSuperate le tensioni riconnesse ai potenziali esiti del cosiddetto “election day” del 20-21 settembre, il presidente del Consiglio dei ministri può oramai procedere “quasi” indisturbato nel perseguimento dei suoi sottili propositi programmatici. I tempi sono oramai maturi, e la recisione di ogni legame con la Lega (Nazionale) Salvini-Premier e col ricordo dell’esperienza oscurantista di governo giallo-verde continua ad apparire quale condizione imprescindibile e legittimante di un “rinnovamento” intransigente che deve passare, preliminarmente, attraverso le modifiche ai Decreti Sicurezza e la “cancellazione” di Quota 100 introdotta – ha precisato Giuseppe Conte in occasione del dibattito “L’Italia e l’Europa” al Festival dell’Economia – solamente “per supplire a un disagio sociale che si era creato” e benché quella misura – aggiungo io - fosse notoriamente sgradita tanto al frugale Mark Rutte quanto allo stesso Cancelliere Federale della Germania Angela Dorothea Merkel.
La portata di quella dichiarazione, tuttavia, va ben al di là del suo semplice significato semantico siccome rinviene la sua stessa ragion d’essere nelle parole che il “premier” ebbe modo di pronunciare nel suo discorso dal Quirinale dopo aver accettato con riserva l’incarico di formare il governo conferitogli da Sergio Mattarella all’indomani dei fatti del Papeete: non “un governo contro”, ma “un governo per il bene dei cittadini”, “un governo nel segno della novità” che, verosimilmente, presupponeva allora, e presuppone a tutt’oggi, e altresì, il graduale distanziamento ideologico dal Movimento 5 Stelle (e da Colui che fu il suo Capo Politico, Luigi Di Maio), oramai devastato dalle pressanti tensioni interne, divenuto incapace di ritrovare il proprio asse di equilibrio, e per ciò stesso inadeguato nel contribuire a dare espressione e nuova linfa al più ampio progetto riformista ad inclinazione socialistico/assistenziale che sembra destinato a segnare negli anni a venire il Governo Conte II.
Per chi non lo avesse ancora capito, l’atteggiamento solo apparentemente “narcisista” di Giuseppe Conte, che nel suo piccolo appare perfettamente consapevole del potere che gli esiti delle urne gli hanno conferito, si traduce in una decisa svolta anti-populista segnata da intense suggestioni socialiste e necessitata non solo dall’esigenza di provocare un avvicinamento sempre più marcato e significativo al Partito Democratico, divenuto nel frattempo asfittico e atrofico anche per la propria incapacità di gestire adeguatamente i termini “politici” dell’alleanza di governo senza restarne sopraffatto, ma anche, e soprattutto, dall’esigenza di rinsaldare la propria posizione e credibilità agli occhi dei grandi leader europei, soprattutto in questo momento specifico in cui il vero obiettivo più o meno marcatamente dichiarato è la gestione sul piano mondiale della crisi sanitaria nonché lo sviluppo di un concreto “governo della sicurezza” di carattere internazionale e para-statale all’interno del quale assumere un ruolo decisivo in quanto “Guida Politica Nazionale” di riferimento e, di conseguenza, in quanto Stato.
Il “rinnovamento”, infatti, se tale intende davvero essere, deve alimentarsi di “consapevolezza” e la “consapevolezza”, a sua volta, deve impiantarsi e diffondersi necessariamente in antagonismo e in contraddizione al populismo, rivelatosi gravemente carente financo nel rispondere adeguatamente all’anti-democraticità dell’impatto pandemico, dal momento che, per un verso, come aveva avuto modo di sostenere l’economista austriaco Joseph Alois Shumpeter, e se si eccettua il solo caso dell’indimenticato e irripetibile Giulio Andreotti (sette volte presidente del Consiglio dal febbraio 1972 al 28 giugno 1992, otto volte ministro della Difesa, cinque volte degli Esteri; due volte delle Finanze, del Bilancio e dell’Industria, una volta ministro dell’Interno e delle Politiche Comunitarie), “nessuna leadership è assoluta”, e siccome, per l’altro verso, l’unica alternativa concepibile al “neo-populismo da strada e da piazza” di Luigi Di Maio e Matteo Salvini, quali “gemelli diversi” (traggo libera ispirazione dal nome del noto Gruppo Musicale Pop Rap Italiano “Gemelli DiVersi” senza voler accomunare in alcun modo le due realtà che evidentemente nulla hanno a che vedere l’una con l’altra) della politica italiana, deve saper rinvenire una collocazione intersecante rispetto all’archetipo destra/sinistra per radicare i propri presupposti fondanti su una descrizione di “collettività” e di “avvenire” ancora tutta da congegnare.
La questione è certamente complessa e, pertanto, per comprendere i termini stretti della riflessione finora condotta, e quindi il ruolo dello stesso Giuseppe Conte in un contesto siffatto e le ragioni determinanti il suo distacco ideologico dal leader padano e di conseguenza, e indirettamente, dall’esponente pentastellato oggi ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, occorre in realtà prestare attenzione a talune circostanze imprescindibili: quella per cui la pandemia ha inequivocabilmente ingenerato una condizione di emergenzialità “differenziata e disomogenea” che, a sua volta, ha contribuito a determinare il sorgere di un contesto politico-sociale caratterizzato da una fortissima incertezza sul piano istituzionale; l’altra per cui quella stessa emergenzialità “differenziata/disomogenea” e anti-democratica ha contribuito a rendere noti i suoi effetti travolgenti attraverso l’estrinsecarsi della sua duplice e contrastante finalità riformatrice in senso lato e preservatrice in senso stretto; quella ulteriore per cui, oggi più di ieri, appare necessario rifuggire da qualsivoglia accenno di “emergenzialismo” insinuante e subdolo tipicamente demagogico/populista che ometta di individuare le cause delle difficoltà correnti e, di conseguenza, di predisporne i rimedi adeguati; e infine, quella per cui, l’impulso esercitato dal persistere dello stato di emergenza sanitaria, ha sorprendentemente facilitato, e continua a facilitare, l’esercizio dell’azione di governo che, proprio sulla base dell’urgenza e della necessità, tende naturalmente al proprio rafforzamento nonostante le molteplici contraddizioni e criticità che lo attraversano.
“In Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio e nulla di più provvisorio del definitivo” (cfr. Giuseppe Prezzolini): lo abbiamo imparato negli anni a nostre spese. E paradossalmente, proprio nel corso di questo anno 2020, lo stato di emergenza si propone come l’unica condizione utile a garantire la governabilità in un contesto in cui sebbene tutti gli strumenti nuovi posti in campo per contrastare la crisi si trasformino sempre più spesso in caratteri stabili dell’ordinamento a prescindere ed al di là del persistere di timide e sbiadite tendenze populiste, apportando anche cambiamenti rilevanti nell’assetto politico-istituzionale del Paese, tuttavia quegli stessi strumenti finiscono per intervenire, per converso, mediante dinamiche di contenimento dei conflitti che sono indirizzate prevalentemente alla conservazione degli equilibri esistenti all’interno di un perimetro socio-esistenziale in cui il cosiddetto stato di normalità può ben essere “sospeso” a fronte dell’incedere di una minaccia per la collettività. Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, cosa significhi tutto questo. E in realtà, si potrebbe rispondere distrattamente che significa tutto oppure che non significa niente allo stesso tempo se si decide di non considerare gli esiti politici e istituzionali direttamente riconducibili alla crisi sanitaria. Tuttavia, sarebbe profondamente disonesto non riconoscere che il paradigma emergenza/governabilità, rappresenta il vero punto di forza dell’azione politica di Giuseppe Conte, che con il suo slancio di impegno si distingue per essere l’Uomo Nuovo del Rinnovamento chiamato per gettare le basi del “Governo del Nuovo Umanesimo” che lo stesso Papa Francesco, nella sua enciclica “Laudato si’”, individua come prospettiva da perseguire.
Giuseppina Di Salvatore
(Avvocato - Nuoro)