Un potere nascosto: l’editoriale del 30 ottobre
Di Giovanni M. ChessaDalla fine della Prima guerra mondiale, le sanzioni internazionali accompagnano ogni crisi dell’ordine mondiale. Nate come alternativa all’uso della forza, si sono trasformate in uno strumento di pressione economica per indebolire o isolare gli avversari sul piano commerciale e finanziario. Nella visione internazionalista di Woodrow Wilson, le sanzioni avrebbero dovuto rappresentare il principale deterrente della Società delle Nazioni, ma l’assenza degli Stati Uniti e la mancanza di un fronte coeso ne ridussero l’efficacia, come dimostrarono i casi della Manciuria e dell’Etiopia negli anni Trenta.
Oggi, nell’epoca segnata dalla guerra in Ucraina e dalla competizione tra grandi potenze, le sanzioni si confermano uno strumento centrale della politica internazionale. Dalla Cuba castrista all’Iraq di Saddam, fino alla Russia di Vladimir Putin, la storia della coercizione economica mostra come, in assenza della forza o di un consenso globale, anche le misure più incisive rischino di perdere efficacia.
Con la globalizzazione e l’interconnessione dei mercati, la coercizione economica ha assunto forme nuove. Agli embarchi generalizzati si sono sostituiti strumenti mirati che sfruttano la centralità del dollaro e le infrastrutture di pagamento internazionali (come CHIPS e SWIFT) per limitare l’accesso di individui o interi settori ai flussi globali. L’esclusione da tali circuiti equivale oggi, di fatto, a un embargo.
Dall’11 settembre 2001, le sanzioni sono divenute il principale strumento di pressione per Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito. Secondo Chatham House, durante il 2023 erano attivi oltre seicento regimi restrittivi, tre quarti dei quali unilaterali. Solo il 6% faceva capo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, spesso paralizzato dai veti di Russia e Cina. La portata di tali misure è tangibile anche in Italia. Nel 2023 risultavano congelati beni per circa 600 milioni di euro nel solo Nord Sardegna, tra immobili, società, auto di lusso e imbarcazioni riconducibili a nove cittadini russi destinatari delle misure introdotte dopo l’invasione dell’Ucraina, pari al 30% del totale nazionale e all’80% dei beni sequestrati.
Nel tentativo di attenuarne gli effetti, Russia e Cina hanno sviluppato infrastrutture finanziarie alternative e promosso la “dedollarizzazione”. Tra queste, il CIPS cinese, ideato per regolare le transazioni in yuan e ridurre la dipendenza dal dollaro, resta però marginale, con meno di duemila entità aderenti. Il dollaro si conferma così non solo valuta di riserva, ma leva geopolitica capace di orientare i flussi di capitale. Più incisive si sono rivelate le “controsanzioni” di Pechino, che nell’ottobre 2025 ha esteso i controlli all’esportazione di terre rare e magneti.
Il nodo più sensibile resta l’extraterritorialità. Le sanzioni statunitensi si applicano anche a soggetti stranieri ogniqualvolta esista un US nexus, cioè un collegamento con gli Stati Uniti, come l’uso del dollaro o di tecnologie americane. Ciò estende la giurisdizione di Washington oltre i propri confini, con effetti significativi sull’autonomia economica dei partner.
L’Unione Europea, che in passato aveva reagito con risultati limitati, adotta oggi misure antielusione e studia restrizioni analoghe a quelle statunitensi. Strumenti che, pur non equivalendo alle sanzioni secondarie americane, ne riproducono la logica. L’UE si trova così divisa tra l’esigenza di proteggere i propri operatori dall’extraterritorialità e quella di sviluppare una capacità coercitiva autonoma. Da tale equilibrio dipende la possibilità di costruire una politica estera economica più incisiva, fondata non solo sulla difesa ma su una strategia capace di valorizzare la forza del mercato unico.
La “guerra economica” è ormai un elemento strutturale della governance globale. Dopo anni di interventi militari dagli esiti incerti, le sanzioni appaiono uno strumento più sostenibile per perseguire obiettivi politici, pur restando efficaci solo in assenza di alternative credibili. Le nuove restrizioni introdotte contro le compagnie energetiche russe Lukoil e Rosneft, insieme alle contromisure cinesi, segnano l’ingresso in una fase in cui la competizione tra potenze si misura sulla capacità di controllare le leve del potere economico.
Più che un’alternativa al dollaro, si delinea una progressiva frammentazione del commercio mondiale. In uno scenario segnato da friend-shoring e reshoring, le sanzioni cessano di essere eccezioni e diventano parte integrante dell’architettura dei rapporti internazionali, ridefinendo in modo silenzioso ma profondo i limiti della sovranità economica. Ne è esempio la Sardegna, dove il congelamento dei beni stranieri, nato come misura temporanea, si è trasformato in un elemento stabile del tessuto economico locale.
Giovanni Maria Chessa
