L’Ucraina a un bivio: l’analisi del 25 novembre 2025
Di Alessandro Aresu, consigliere scientifico di LimesIn questi giorni, da negoziati condotti in massima segretezza è emerso il “piano di pace” in 28 punti per finire la guerra in Ucraina, concepito dall’entourage di Donald Trump e concordato coi rappresentanti russi. Il piano sembra essere giunto da settimane di colloqui riservati tra Steve Witkoff, inviato fidatissimo di Trump, e Kirill Dmitriev, consigliere economico di Putin. A questi incontri ha partecipato anche Jared Kushner, genero di Trump. La volontà di Trump è chiara: replicare sulla vicenda ucraina la squadra che ha ottenuto un oggettivo successo a Gaza. Tuttavia, le crisi internazionali non sono tutte uguali.
I colloqui e il piano sono stati considerati subito controversi. Gli europei e la Nato non sono stati informati, e soprattutto non è stata consultata l’Ucraina. Ciò conferma l’obiettivo primario dell’amministrazione Trump: recidere il legame tra Cina e Russia, divenuto sempre più stretto negli ultimi anni. Siccome questo è l’obiettivo primario, niente di ciò che faranno gli ucraini né tantomeno gli europei potrà cambiarlo.
Dopo mesi di episodi del genere, è utile per l’opinione pubblica europea capire che le cosiddette “riunioni dei volenterosi” sono cerimonie prive di sostanza. Esse non ricevono alcuna considerazione dagli Stati Uniti, che piaccia o meno. Soprattutto quando vedono protagonisti leader come il presidente francese Macron, ormai privo di legittimità politica. Noi europei siamo ovviamente liberi di credere il contrario, ma la posizione degli Stati Uniti è e sarà questa.
Attenzione: ciò non vuol dire che il piano sia destinato a essere approvato nella forma in cui è stato proposto da Washington e Mosca. Il piano conteneva condizioni molto dure per l’Ucraina, tra cui il riconoscimento della Crimea alla Russia, la cessione di gran parte del territorio non solo occupato ma a volte ancora non controllato da Mosca nel Donetsk, nonché l’imposizione per Kiev di non entrare nella Nato e di rinunciare a importanti assistenze sul piano militare. Tutto ciò, a fronte di garanzie di sicurezza limitate da parte degli Stati Uniti, con un abbandono graduale delle sanzioni alla Russia e l’uso da parte americana di una porzione degli asset russi congelati. Infine, erano previste nuove elezioni per l’Ucraina entro 100 giorni dall’accettazione del piano.
Quest’ultimo non è un dettaglio insignificante, perché la proposta è stata presentata mentre Zelensky era più vulnerabile, col suo governo travolto da un grave scandalo di corruzione. In questo contesto, la vera difficoltà del piano, come sottolineato, non viene dalle infinite riunioni degli europei, che hanno mostrato più volte il loro scarso rilievo, bensì dalle divisioni interne negli Stati Uniti.
Il punto è che sul conflitto Russia-Ucraina ancora non c’è un consenso. Il segretario di stato e consigliere per la sicurezza nazionale Marco Rubio, erede della tradizione dei neoconservatori secondo cui bisogna essere duri sia con la Cina che con la Russia, ha preso non a caso le distanze dal piano iniziale. Anche perché non l’ha scritto lui: l’hanno scritto Dmitriev e Witkoff. La polemica sulla modalità di redazione del piano ha così coinvolto la diplomazia statunitense, anche attraverso le posizioni, notoriamente più dure verso la Russia rispetto a quelle di Trump, espresse dai senatori repubblicani.
Rubio ha così guidato la delegazione statunitense a Ginevra, nelle ultime trattative che hanno coinvolto anche l’Ucraina. Dopo i colloqui di Ginevra, i funzionari statunitensi e ucraini hanno concordato sui progressi che sono stati fatti. Pur non divulgando dettagli specifici su modifiche o su eventuali concessioni territoriali da parte dell’Ucraina, Rubio ha rassicurato che gli elementi in sospeso non sono insormontabili e che il piano è un documento in continua evoluzione. Tra l’altro, Rubio ha dichiarato che la scadenza iniziale imposta da Trump per l’accettazione del piano (il 27 novembre) non è definitiva. La scadenza si basa sull’effettivo progresso nei colloqui.
Nel mentre, l’attività militare potrebbe continuare e crescere, perché l’aumento del ritmo e dell’intensità delle operazioni offensive nel Donetsk e verso le infrastrutture energetiche può essere messo sul tavolo delle trattative, per rafforzare le varie posizioni negoziali.
Alessandro Aresu – Consigliere scientifico di Limes
