La tassazione delle banche, l’editoriale del 17 ottobre 2025
Di Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”Fino all’inizio degli anni Novanta, lo Stato controllava direttamente il grosso del sistema bancario italiano. Gli istituti di credito erano perlopiù pubblici, Mediobanca era un centauro (privata, ma controllata dalle banche statali), private erano poche banche del territorio, molte delle quali cooperative. Le privatizzazioni avvennero conferendo i pacchetti azionari alle fondazioni, le quali si sono progressivamente diluite ma restano attori significativi nella governance di IntesaSanPaolo e UniCredit.
Esse erano un oggetto molto italiano, che doveva servire a liberare spazio per il mercato soddisfando le ambizioni più encomiabili della politica: quelle legate, cioè, al sostegno dei territori. Fin qui l’idea. In pratica la politica non si è mai accontentata di concorrere alla nomina di coloro che avrebbero dovuto impiegare i profitti delle banche in iniziative di beneficenza, ma ha sempre cercato di metter becco nel “risiko” bancario. Gli istituti di credito non sono mai usciti dall’orbita della politica. Il che è un problema. In un’economia di mercato, essi svolgono una funzione essenziale e particolarissima: erogano il credito, cioè sostengono lo sviluppo di iniziative imprenditoriali.
Il fatto che la scelta di prestare o meno denaro a una certa azienda sia determinata dal profitto atteso è una buona cosa: significa che verosimilmente si finanzieranno le attività più promettenti, che per la società è un vantaggio. Non è invece una buona cosa se risorse preziose vengono sprecate a vantaggio di iniziative decotte, semplicemente perché sono promosse da persone che hanno amici che possono spendere una buona parola per loro. È successo tante volte, nella storia del nostro Paese, dove è raro che dietro a un crac spettacolare non ci sia una banca troppo compiacente, che anziché fare il suo mestiere di prestatore di denaro mossa al motivo del profitto chiude un occhio e anche due quando le viene chiesto di farlo.
Questo per dire che non c’è davvero nulla di nuovo nella “trattativa Stato- banche” che dovrebbe portare a un contributo straordinario di 3 miliardi “per lo sviluppo dell’economia italiana”. Tassare le banche è sicuramente meno dannoso che trafficare con l’allocazione del credito. Si tratta, fra l’altro, di una misura popolare. Gli elettori comprendono che cosa fanno gli imprenditori ma non capiscono mai quale sia il mestiere di un banchiere. La finanza è sempre misteriosa.
È una strana forma di alchimia, che trasforma le parole in denaro. In più, tendiamo ad associarla a esperienze spiacevoli, come pagare la rata del mutuo. Per questo, proposte di ulteriori imposte sugli istituti di credito di solito sono accolte con favore dalla popolazione: meglio spremere le banche che me, è il pensiero comune. Vale la pena però precisare almeno due cose. Le imposte sulla banche equivalgono a profitti inferiori per i loro azionisti. Questo vuol dire, per le fondazioni bancarie di cui sopra, meno risorse da investire nel territorio. Ma non sono solo loro gli azionisti delle banche italiane. Sono moltissime famiglie, di tutte le classi sociali, che hanno investito in azioni degli istituti di credito, spesso vendute loro dai medesimi.
Colpire le banche significa colpire anche il risparmio. Detta così, la cosa suona meno bene. L’altra riguarda ciò che non sappiamo di questo contributo, che rischia però di essere assai rilevante. La maggioranza di governo non ama il mondo del credito, un po’ perché sa che si fa bella figura a metterlo nel mirino, e un po’ perché esso è tradizionalmente “di sinistra”. Lo erano i banchieri star di qualche anno fa, lo sono di solito i vertici delle fondazioni, nominati da amministrazioni di grandi città.
Il ministro Giorgetti gestisce con grande garbo la pratica, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Per una dazione “volontaria”, la controparte bancaria esigerà una contropartita, che non sappiamo quale sia. Potrebbe avere a che fare con la limitazione alla concorrenza, sempre sgradita. Specie se si tratta di qualche nuovo strumento di risparmio e pagamento. Meglio posporre l’entusiasmo, dunque. Oggi diciamo che pagano le banche, domani ci accorgeremo che paghiamo noi tutti, come risparmiatori e consumatori. Alberto Mingardi Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”
Alberto Mingardi – Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”