La sanità sarda, un malato senza cura: l'editoriale del 30 dicembre 2025
di Giovanni Maria ChessaLa recente pronuncia della Corte costituzionale sul licenziamento dei vertici della sanità in Sardegna ha riportato al centro del dibattito pubblico un tema che in realtà non è mai uscito dal confronto politico regionale e che ha rappresentato negli ultimi anni uno degli elementi più rilevanti nel giudizio di una Giunta agli occhi degli elettori. La sentenza interviene su un profilo circoscritto, richiamando noti principi amministrativi, comprensibili anche agli estranei al settore, funzionali ad assicurare il corretto funzionamento del sistema sanitario. A rimanere sostanzialmente invariato è però il quadro generale in cui la sanità regionale si colloca da tempo.
Se è un dato acquisito per i cittadini che la sanità sia in cima alle priorità dei vari aspiranti governatori e candidati consiglieri, è altrettanto evidente come ogni ciclo politico, indipendentemente dal colore, abbia cercato di affrontare il problema intervenendo sull’organizzazione del sistema, nella convinzione che una diversa architettura della governance potesse incidere su efficienza e qualità dei servizi. Negli anni della Giunta Pigliaru si è puntato sull’Asl unica, attraverso una forte spinta all’accentramento volta a ridurre frammentazioni e duplicazioni. Con la Giunta Solinas invece, si è invece scelto un orientamento opposto, tornando a un assetto fondato su più aziende sanitarie territoriali, ridefinite anche in base alle nuove province.
Le due scelte, pur diverse, sono state accompagnate da critiche incrociate delle rispettive opposizioni e non hanno prodotto nel tempo risultati consolidati. Si dirà che questi interventi non siano stati privi di razionalità né di ambizione. Tuttavia, si sono confrontati con un limite strutturale che la Sardegna conosce da tempo e che difficilmente può essere superato nel breve periodo. La sanità assorbe già circa 4 miliardi di euro, vale a dire quasi la metà del bilancio regionale complessivo, che si colloca attorno ai 10 miliardi. Questo è il perimetro entro cui la politica regionale è chiamata a muoversi. Ulteriori espansioni di spesa comporterebbero inevitabilmente la compressione di altri capitoli – spesso sotto-finanziati – e obbligherebbero a fare i conti con una capacità fiscale che l’Isola non possiede.
L’economia sarda vive infatti una condizione di stagnazione di lungo periodo. I dati del Crenos mostrano un Pil pro capite stabilmente inferiore alla media nazionale ed europea e una crescita che, sebbene registrata negli ultimi anni, è dipesa soprattutto da attività a basso valore aggiunto, spesso connesse all’overtourism o comunque su base stagionale, che faticano a generare ricchezza e occupazione qualificata. Su questo quadro economico si innesta una dinamica demografica particolarmente critica. Secondo l’Istat, la Sardegna è oggi una delle regioni più anziane d’Italia. L’indice di vecchiaia, che misura il rapporto tra popolazione anziana e popolazione giovane, ha superato il 280 per cento. Il crollo della natalità completa il quadro, tra i più problematici a livello nazionale.
Questi numeri aiutano a comprendere perché la pressione sul sistema sanitario sia destinata solo ad aumentare. Una popolazione più anziana richiede infatti più cure, sempre più complesse e costose, più servizi di assistenza e in ultima analisi maggiori risorse pubbliche. Tuttavia, nonostante l’elevato impegno finanziario, i risultati restano oggetto di criticità piuttosto note, come rilevato anche da osservatori esterni. Secondo la Fondazione Gimbe, nel 2024 oltre il 17 per cento dei residenti ha rinunciato a visite o prestazioni sanitarie. È un dato che segnala l’esistenza di spazi di razionalizzazione, pur in presenza di una domanda crescente e di vincoli strutturali difficili da rimuovere.
In questo contesto, intervenire sugli assetti organizzativi ereditati dal passato appare spesso la strada più immediata e politicamente sostenibile rispetto a un’azione sulle inefficienze che implica scelte politiche potenzialmente divisive.
Il nodo, allora, non è stabilire se serva un’ulteriore riforma della sanità, ma riconoscere prima di tutto i limiti entro cui si può operare. La popolazione invecchia, le prospettive economiche resteranno incerte e la spesa sanitaria dei sardi crescerà nel prossimo futuro, rendendo più frequente la rinuncia alle cure rispetto al ricorso al privato, anch’esso in aumento. Non esistono dunque soluzioni rapide né svolte salvifiche da riproporre ogni cinque anni agli elettori. Esiste invero la possibilità di governare fragilità ormai evidenti, attenuarne gli effetti più critici e contenere le asimmetrie, almeno su base territoriale. È una prospettiva meno ambiziosa di quanto la politica talvolta prometta, ma più coerente con la realtà dei fatti.
