Che la cucina italiana sia stata dichiarata dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità non è piaciuto a tutti. Il cibo italiano è risultato indigesto soprattutto a un noto giornalista e critico gastronomico inglese, Giles Coren, che sostiene come quella britannica sia la migliore cucina del mondo, arrivando persino a parlare di “truffa”.

A questo punto viene da chiedersi se definire “patrimonio dell’umanità” un tipo di cucina la qualifichi automaticamente come la migliore. Il rischio è evidente: confondere il valore culturale con una classifica mondiale che nessuno ha mai davvero stilato. Se così fosse, allora tutti potrebbero rivendicare una leadership culinaria, anche per piatti che faticano a uscire dai confini della propria regione.

Anche per cucine povere, essenziali, nate dalla necessità più che dal gusto, ma capaci di raccontare meglio di mille trattati la storia di un popolo. Come quella sarda: frugale, dura, saporita, senza fronzoli. Altro che stelle Michelin.

E a ben pensarci, se proprio dobbiamo salvare qualcosa dall’estinzione culturale, più che la pizza o la pasta forse meriterebbe tutela l’unico alimento capace di mettere davvero alla prova il concetto stesso di “umanità”: il casu marzu. Quello sì, patrimonio immateriale. Perché non tutti riescono a mangiarlo. Ma chi ci riesce, qualcosa da raccontare ce l’ha.

Bepi Anziani

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