Il nodo delle aliquote Irpef: l’analisi del 12 novembre 2025
Di Alberto Mingardi – Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”La finanziaria è infatti la prima, tra le quattro varate da questo esecutivo, a incidere sulla terza aliquota Irpef, quella che riguarda redditi fra i 28 e i 50 mila euro. Essa viene ridotta dal 35 al 33 per cento. Negli anni scorsi, il governo Meloni aveva concentrato la propria azione a favore dei redditi più bassi, proteggendoli con diverse iniziative, dalla fiammata inflazionistica. Di questa fiammata inflazionistica i politici e i commentatori si sono già dimenticati, ma il conto della spesa non mente.
Meloni e Giorgetti hanno inteso fare qualcosa per circa 13 milioni di contribuenti che rappresentano il “ceto medio”.” Non è che i prezzi per loro non siano aumentati. Anzi, il fatto che, a causa dell’inflazione, i redditi nominali siano cresciuti ha fatto sì che molti di loro finissero nello scaglione superiore dell’imposta sul reddito e dunque dovessero pagare più tasse, il che, ovviamente, ha ridotto ancor più il loro potere d’acquisto. Questo “drenaggio fiscale” è stato già compensato, con le manovre precedenti, per i redditi bassi.
Ora, la Banca d’Italia, in un’audizione, ha sostenuto che questo ritocco alle aliquote Irpef si tradurrà in un beneficio di pochi euro per le famiglie, a fronte di una riduzione del potere d’acquisto di circa il 10% nell’inflazione post-pandemica. Ha anche sottolineato che l’operazione ha una limitata efficacia nella riduzione delle diseguaglianze (che, andrebbe ricordato, non è l’unico obiettivo della politica fiscale) e che beneficia i redditi relativamente più elevati.
Nella foga dello scontro politico, l’opposizione ci ha imbastito un’accorata denuncia contro il governo, che vorrebbe aiutare i ricchi a spese di tutti. Giustamente, sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini (non un meloniano di ferro) ha sottolineato quanto sia surreale considerare “ricco” chi guadagna fra i duemila e i duemilacinquecento euro al mese.” Per giunta, è abbastanza curioso che a etichettarli come “benestanti” sia una forza politica, il Partito Democratico, i cui elettori sono localizzati nel centro Italia ovvero nelle grandi aree urbane. A Milano, Torino, Roma, Firenze, Bologna, duemila euro al mese non comprano cene con ostriche e champagne.
In linea generale, due considerazioni sono opportune. La prima è che il problema del nostro fisco non è che spalleggia i più ricchi, ma che scoraggia chi vuole lavorare di più e, dunque, creare più ricchezza. Il grande merito della flat tax, l’imposta sul reddito ad aliquota unica sempre promessa e mai realizzata dal centrodestra, era proprio quello: non penalizzare chi prova a migliorare la propria condizione.
Quando si discute di queste cose, si tende a immaginare che ai diversi scaglioni dell’imposta sul reddito corrispondano “gruppi” distinti e che si guardano in cagnesco, i poveri e i ricchi. Ma ci si mette poco, a scivolare di qui o di là della linea di confine, a essere soggetto a questo o a quel valore d’imposta. Se guadagno 27 mila euro, pago al fisco il 23% del mio reddito; se supero i 28, il 35 (ora il 33). La soglia non può che essere arbitraria, ma il “salto” dell’imposta spingerà a lavorare di più o a fermarsi un momento prima?
La seconda è che l’elevata pressione fiscale italiana è già oggi sostenuta da pochi contribuenti. Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ricorda che circa il 27% dei contribuenti, con redditi superiori a 29 mila euro, paga quasi il 77% dell’Irpef. Sopra i 100 mila euro sta una frazione ridicola della popolazione, l’1,65% dei contribuenti, che versa oltre il 22% dell’imposta.
Non è possibile ridurre alla maggioranza degli italiani un’imposta che non paga. E forse anche in questo risiede un problema. Tutti dovrebbero versare un tributo, per modesto che sia. Se no, non si capisce davvero in che senso partecipino a quel “patto sociale” che i politici menzionano sempre. E naturalmente chiederanno sempre più spese. Tanto pagano i ricchi, cioè gli altri.
Alberto Mingardi – Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”
