Il nodo dei cantieri
Di Natale DitelCagliari (ma come la gran parte delle città italiane), sfruttando le significative fonti di finanziamento delle opere pubbliche di derivazione UE, ha avviato la realizzazione di importanti progetti. Fin qui tutto bene: si tratta di opere pubbliche senz’altro utili alla collettività, ma che impattano, nella fase realizzativa, sulla vita quotidiana dei cittadini e di tutti coloro che vivono o arrivano nel capoluogo. Il cittadino spesso si chiede perché i cantieri sembrano non avere mai fine, senza un inizio e una fine lavori chiaramente programmati.
Vorrei soffermarmi sui dati: i tempi medi di realizzazione delle opere pubbliche in Italia vanno dai 1.450 giorni per i lavori fino a 1 milione di euro, ai 2.200 giorni (oltre sei anni) per quelli superiori a 5 milioni. In questo contesto, domina un’analisi di scenario deresponsabilizzante, articolata su tre argomenti principali. Il primo è che la colpa sarebbe tutta del codice dei contratti pubblici, il secondo riguarda la mancanza di profili tecnico-amministrativi negli uffici, e il terzo è il grande onere del permitting, ovvero dei tempi necessari per ottenere le autorizzazioni.
Ci si limita così a una visione in negativo degli impedimenti che ostacolano la tempestiva realizzazione delle opere, attribuendo le responsabilità alla burocrazia e all’incapacità amministrativa degli uffici comunali o regionali, spesso a discapito di grandi professionisti. Ma questa è una lettura troppo semplice. Emerge, o dovrebbe emergere, una diagnosi diversa: c’è un ostacolo di cui non si parla abbastanza e su cui non si interviene, ovvero la leadership strategica degli investimenti pubblici, molto utilizzata in ambito europeo.
Sono troppo pochi i manager pubblici in grado di assicurare una guida lucida del processo complessivo di realizzazione delle opere: dalla programmazione alla gestione delle complesse reti che coinvolgono i privati, fino al monitoraggio dei contratti, che deve condurre alla corretta realizzazione dell’opera pubblica. Di fronte all’obsolescenza delle infrastrutture, le amministrazioni dovrebbero affrontare con urgenza questa sfida. Come si usa dire: serve una visione.
Ma che tipo di visione? E con quali interventi? Oggi i soggetti coinvolti nel processo — quelli dell’autorizzazione, del controllo, gli operatori economici e le comunità locali — sono spesso slegati, operano a compartimenti stagni e non collaborano. Occorre cambiare prospettiva e considerarli come compartecipi all’opera pubblica, con responsabilità e obiettivi condivisi.
I due strumenti fondamentali per un reale miglioramento sono l’organizzazione e la comunicazione. L’organizzazione deve comprendere competenze multidisciplinari fin dalla fase di ideazione e progettazione dell’opera, fino alla gestione del contratto di appalto e al controllo interno, che deve anticipare i controlli esterni, seguendo la logica del risk management. Queste logiche di controllo devono essere viste come strumenti di valutazione del valore economico, sociale e ambientale sostenibile dell’opera, tenendo sempre conto del rapporto costo-opportunità.
La comunicazione, invece, non deve limitarsi al rituale annuncio della “posa della prima pietra”. È fondamentale comunicare ai cittadini il cronoprogramma dell’opera, il rispetto dei tempi, e in caso di ritardi spiegare le motivazioni degli impedimenti. Se un’opera pubblica viene completata in anticipo, la Pubblica Amministrazione potrebbe premiare l’appaltatore, con beneficio per tutti — e in primo luogo per i cittadini, principali fruitori del risultato finale.