Il dovere della speranza
di Massimo Crivelli«Ogni età ha il suo Natale, diverso nel modo di attenderlo, di sentirlo, di viverlo. C’è il Natale dei bambini, fatto di trepide attese, di allegre scoperte, di emozionanti momenti. C’è quello degli adulti condizionato da tante varianti, dai luoghi, dagli impegni, dai bisogni, dagli obblighi, dalle consuetudini. C’è il mio Natale, quello dei vecchi, fatto soprattutto dai ricordi, dal cumulo delle memorie, intriso di nostalgie a volte temperate dalla dolcezza, a volte cariche di tristezza. Ma è soprattutto sui bambini che i miei occhi si posano con il conforto di una speranza che è anche l’augurio per tutti noi di un domani più felice, di un mondo migliore, di una vita degna di essere vissuta ogni giorno nel segno di una pace che tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a cercare».
Mi sono ricordato di un articolo scritto nel 2002 da mio padre, Fabio Maria Crivelli, direttore di questo giornale per 24 anni, quando era ormai ottantenne. L’ho tirato fuori dalla scatola dei ricordi e ne ripropongo qui le prime frasi che ancora mi emozionano.
L’ho fatto perché in questi giorni intensi della Vigilia, segnati dalla corsa ai regali e agli ultimi acquisti, capita che la frenesia consumistica lasci spazio alla necessità di qualche riflessione. Ci si trova ad interrogarsi sul significato autentico della ricorrenza. Cosa è davvero il Natale? Perché festeggiamo? Cosa ci accomuna in questo rituale, anno dopo anno?
Per la grande comunità dei cristiani la risposta è affidata alla fede. Si celebra la nascita di Gesù, di quel Bambinello venuto al mondo più di duemila anni fa a Betlemme, il suo farsi uomo per salvarci dai nostri peccati. Per chi crede c’è l’obbligo di non rendere vana la sua promessa, il suo sacrificio.
Poi però c’è il Natale di chi, pur non affidando la propria vita ai fondamenti della religione, cerca in questi giorni di festa un significato profondo che vada al di là dei pacchetti da scartare sotto l’albero o delle prelibatezze del cenone. Tutti, io ritengo, godendo delle gioie della famiglia riunita, cerchiamo di darci la forza per credere in un domani migliore per tutta l’umanità.
È infatti la speranza – meglio ancora: il dovere della speranza – il significato autentico di questo Natale. Non è facile di questi tempi aprirle le braccia. Per la prima volta dalla fine del secondo conflitto mondiale la guerra è ritornata dentro i confini dell’Europa. Da quasi quattro anni ormai Vladimir Putin insegue il suo sanguinario sogno neozarista martoriando la popolazione ucraina.
Nonostante i velleitari tentativi di Trump, la pace sembra sempre lontana, e a poco valgono anche gli sforzi di un’Europa che sconta drammaticamente il proprio declino strategico, economico e persino morale. Non possiamo neppure rallegrarci per la tregua raggiunta a Gaza perché nessuno può credere che le profonde radici del conflitto fra Israele e i palestinesi siano magicamente scomparse. Il fuoco cova sotto la cenere, la violenza può riesplodere da un momento all’altro, e l’unica vera soluzione – due popoli e due Stati – appare una prospettiva lontana.
Difficile trovare motivi di consolazione guardando alla nostra Sardegna. Passano gli anni, scorrono i Natali, e i grandi problemi che angustiano l’Isola sono sempre lì, a volte persino aggravati da una politica che non riesce a volare alto, rannicchiata su polemiche di bassa lega, spartizione di piccole porzioni di potere, prona e imbelle nei confronti di uno Stato che non dispensa certo favori.
L’anno si conclude con una pessima toppa al disastro della Sanità, dubbi e recriminazioni sul sistema dei trasporti, con una continuità territoriale che non decolla mai, al contrario di certi ambigui affari che ruotano attorno alla gestione degli aeroporti. I nostri figli continuano ad emigrare, i paesi si svuotano, l’Isola perde diecimila residenti all’anno.
Ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli ma nemmeno è possibile rassegnarsi al declino. Così in questi giorni di Natale diventa quasi un obbligo la professione d’ottimismo. Dobbiamo cercare il conforto della speranza, la luce in fondo al tunnel. Ce l’hanno fatta i nostri genitori che pure si portavano addosso le macerie della guerra, dobbiamo riuscirci anche noi.
Sì, non rendiamo vana la promessa che domani risuonerà nei canti dedicati al Bambino, facciamo che la pace sia un sogno ancora possibile. Buon Natale.
Massimo Crivelli
