Per la prima volta nella storia i giovani che si affacciano al mondo del lavoro hanno la prospettiva di guadagnare meno dei loro genitori. Non ci sono dati precisi ma è un fenomeno riscontrabile in tutto il mondo, dall’America all’Europa, e che come spesso accade è più evidente in Italia.

Dove è cominciato da una ventina d’anni nei quali, come certifica l’Istat, i lavoratori dipendenti hanno perso mediamente il 7,2% del potere d’acquisto. Vuol dire che i costi sono cresciuti più degli stipendi e che quindi, anche se un giovane guadagna nominalmente “lo stesso” del padre, può avere una condizione di vita più difficile.

Con le retribuzioni attuali spesso non si paga nemmeno l’affitto e di conseguenza aumentano i casi di coabitazione forzata con persone con le stesse difficoltà a quadrare i conti. Una situazione che impedisce anche la formazione di nuove famiglie, perché la maggior parte dei giovani al primo impiego non ce la fa a rendersi indipendente senza il sostegno della famiglia d’origine.

Una deriva che nessuno dei governi succedutisi fra il 1990 e il 2020 ha saputo contrastare, tanto che mentre in Italia il salario medio diminuiva in termini reali del 2,9%, in Francia e in Germania aumentava del 30% e oltre.

Per non dire dei sindacati che questo fenomeno non l’hanno visto arrivare, continuando a siglare rinnovi contrattuali indecenti per poi frignare sulla necessità del salario minimo. Con cifre da fame.

Bepi Anziani

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