L a storia della Chiesa contemporanea può rappresentare un valido strumento per leggere l’evoluzione della società italiana, tanto più che il decimo anniversario dell’elezione di papa Francesco si interseca inevitabilmente con il recente dibattito, avviato sulle colonne di questo quotidiano, circa il ruolo dei cattolici in politica a seguito della loro diaspora, avviata con la scomparsa della Democrazia Cristiana, partito estintosi nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II. Gli oltre venticinque anni a guida della Chiesa di Karol Wojtyla sono quelli determinanti.

U n periodo decisivo non solo per comprendere gli sconvolgimenti geopolitici, economici, sociali, ecclesiali, ma anche la ridefinizione del ruolo dei cattolici in politica: la sua precisa scelta, nella seconda metà degli anni Ottanta, dettata dal vissuto personale e pastorale nella Polonia comunista, di favorire una precisa identità cristiana in politica, infatti, da una parte ha favorito l’arruolamento nelle fila dei partiti di quei cattolici più intimamente convinti della necessità di una difesa a oltranza dei valori cristiani, ma dall’altra, ne ha emarginato altri, i più inclini a optare per una scelta religiosa capace di una mediazione culturale tra il mondo ecclesiale e la società contemporanea. Il limite dell’azione di Giovanni Paolo II, tuttavia, risiedeva in una difesa politica di un patrimonio valoriale (come l’interruzione volontaria della gravidanza, l’indissolubilità del matrimonio, il fine vita) che non era più patrimonio vissuto e condiviso neanche da buona parte dei cattolici “praticanti”. Nel 2005, con l’ascesa al soglio pontificio di Joseph Ratzinger, l’approccio verso l’impegno politico dei cattolici non si modifica, ciò che cambia è la prospettiva dello sguardo della Chiesa: Benedetto XVI pare rendersi conto dell’inadeguatezza e dell’incapacità di incidere della proposta evangelica promossa dal predecessore e, dopo otto anni, con coraggio decide di deporre “le armi” favorendo l’avvento di una nuova stagione per la Chiesa e i cattolici, che si concretizza con l’elezione di Jorge Bergoglio: forte della sua esperienza personale sudamericana, una realtà martoriata dagli squilibri economici e sociali, papa Francesco ripropone con forza quei valori evangelici che possono trovare condivisione con gli uomini di buona volontà, nell’ottica di un radicale cambiamento del modello di sviluppo. Pontefice popolare, ma non populista, come sottolineato dal Presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi, capace di ridare dignità alla politica proprio perché ne è lontano. La costante attenzione ai valori della dottrina sociale cristiana ha rappresentato uno sprone e un invito ai cattolici all’azione, tuttavia, il cattolicesimo italiano, e quello isolano non ha fatto eccezione, si è dimostrato incapace di manifestare una posizione coordinata e unitaria, non riuscendo a elaborare progetti politici articolati e condivisi. In Sardegna, più che altrove, ciò è avvenuto a causa di un tessuto socioeconomico e produttivo sempre più lacerato e fragile, perdipiù reso orfano dalla scomparsa di luoghi di elaborazione programmatica. Tali condizioni hanno così svelato limiti e fragilità di un cattolicesimo che, privo della spinta propulsiva, appare oggi smarrito, soprattutto per l’assenza dell’associazionismo cattolico che, nel passato, aveva svolto un importante ruolo di aggregazione sociale e favorito animati confronti interni che spinsero i cattolici più sensibili a spendersi per il bene del Paese.

Gli ultimi dieci anni hanno dimostrato come il Papa sia riuscito a scheggiare i muri dell’indifferenza contemporanea con le sole parole, facendo così la sua parte; spetta ora ai cattolici costruire ponti con proposte politiche credibili per attuare quei valori sociali (ambiente, lavoro, disuguaglianze) condivisi anche da altre realtà, con la consapevolezza che i princìpi non negoziabili (tutela della vita, difesa della famiglia, libertà di educazione) possono esser sì testimoniati, con onestà e piena coerenza al messaggio evangelico, ma non imposti politicamente. Le leggi, infatti, sono in primis espressione di cambiamenti culturali; è pertanto necessario e urgente che i cattolici trovino spazi di dialogo in gruppi e comunità, per avviare un confronto che li impegni in questa prospettiva, perché la vera diaspora non è quella dei cattolici privi di una casa comune, bensì quella della mancanza di un patrimonio valoriale capace di unire tutti i cittadini, cattolici e no, attorno al “bene comune”.

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