L a riforma Cartabia ha l’obiettivo di snellire il processo penale: otto anni per una sentenza sono troppi, l’Europa ha più volte bacchettato l’Italia. In teoria le novità sembrano efficaci, in pratica un po’ meno. Innanzitutto, le nuove norme che allargano il numero di reati non più procedibili d’ufficio incidono sui processi in corso. E così, per tutti i reati per i quali è ora prevista la querela di parte il pubblico ministero o il giudice devono rintracciare la persona offesa che da quel momento ha tre mesi per presentare la querela, trascorsi i quali il processo si chiuderà. Ovviamente con un nulla di fatto.

Se gli uffici giudiziari sono davvero in grado di raggiungere le persone interessate a continuare il processo non c’è nulla da dire ma il problema è tutto in quel se. Due esempi di cronaca recentissima: a Treviso è alle battute finali un processo alla banda del bancomat. Invece di pronunciare la sentenza il giudice ha rinviato perché le banche e gli uffici postali colpiti non avevano presentato querela. Dovranno essere avvisati e, se non si faranno vivi, cadrà l’accusa di furto aggravato.

Sempre nel Veneto un uomo è stato fermato perché sorpreso dalla polizia ferroviaria a rubare tre auto.

I l furto è inserito nella lista dei reati che la riforma individua come procedibili a querela di parte: in parole semplici, perché si faccia un processo si deve attivare la vittima. Ebbene, nel caso di Vicenza le querele sono state presentate, sì, ma dalle persone sbagliate: una dal padre del proprietario, l’altra dall’impiegata della ditta cui sono intestate le auto mentre la legge prevede che in questo caso si attivi il legale rappresentante della società. Risultato: portato davanti al giudice dopo una notte in camera di sicurezza l’imputato è stato liberato. Tra parentesi: l’uomo non poteva essere arrestato e ha diritto all’indennizzo per ingiusta detenzione.

Certo, se si va a guardare la lettera della legge la decisione è impeccabile ma è innegabile la volontà di chi ha subito il tentativo di furto - sventato dalla Polfer - di andare avanti con il procedimento penale. Quel padre era convinto di poter fare la denuncia per la macchina del figlio così come la società aveva ritenuto che la querela dell’impiegata bastasse. Dura lex sede lex, dicevano i romani, ma siccome non erano degli sprovveduti dicevano pure summum ius summa iniuria. Quindi, un correttivo bisognerà trovarlo. Altrimenti si farà strada l’idea che la riforma pensata per snellire il processo penale si traduca nell’eliminazione del processo confidando sull’ignoranza della legge che, è risaputo, non scusa. Come non bastasse, la riforma prevede anche l’obbligo di testimonianza in Tribunale, e se la vittima non si presenterà senza un giustificato motivo il processo finirà in nulla perché l’assenza equivale al ritiro della querela.

Tutto questo dà la sensazione che, ancora una volta, si pensi poco alle vittime. La ratio della riforma è chiara: il disvalore sociale di certi reati è legato all’esclusivo interesse di chi li ha subiti a che l’autore venga processato e condannato. Domanda: davvero non ha un disvalore collettivo il furto in casa o di una macchina? O il sequestro di una persona che venga pestata e poi rilasciata? Davvero la rilevanza sociale è legata al fatto che la vittima si attivi con una querela? Un esempio semplice: un sardo in vacanza a Milano viene sequestrato e picchiato, i medici gli assegnano 40 giorni di prognosi: se vuole che il rapitore venga punito quando guarisce deve presentare querela. E quando ci sarà il processo dovrà andare a testimoniare in Lombardia, a sue spese, e se è un libero professionista perderà pure la giornata di lavoro. Sarà costretto, altrimenti il processo si fermerà.

Bisogna pure considerare che i reati procedibili a querela di parte sono particolarmente diffusi: lesioni personali fino a 40 giorni di prognosi, lesioni personali stradali gravi o gravissime, sequestro di persona semplice, furto anche con un danno patrimoniale di rilevante entità, disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, violenza privata, minaccia (a meno che non sia grave o rivolta a una persona incapace), violazione di domicilio, molestie e disturbo alle persone, danneggiamento (a meno che il fatto non venga commesso in occasione di un servizio pubblico o di pubblica necessità). Quanto alla truffa, alla frode informatica e all’appropriazione indebita la procedibilità a querela di parte è addirittura estesa all’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità e di recidiva. Bisognerà ricordarlo, nel caso dovessimo restarne vittime. Nessuno ce lo dirà.

Ecco perché le perplessità restano: lo Stato mette in capo alla vittima un onere che se non è economico è certamente psicologico, quello di avviare il procedimento penale. Se snellire e velocizzare la giustizia è una priorità, l’obiettivo non si può perseguire fermando i processi.

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