L'esempio nel rosso cofanetto
Nicola LeccaN ell'ottobre del 1993 la piccola casa editrice Alfa diede alle stampe un elegante cofanetto che raccoglieva, in due volumi, le opere di Francesco Masala: uno fra i più talentuosi scrittori e poeti che la nostra isola abbia mai avuto, oltre che strenuo difensore della lingua sarda. Carta di pregio, rilegatura elegante. Il giusto tributo per un grand'uomo della nostra terra.
Da più di dieci anni, Francesco Masala non c'è più. Riprendere in mano quel cofanetto rosso e sfogliare con parsimonia i libri in esso contenuti significa ricongiungersi con una saggezza antica e beneficiare della sua rara sensibilità.
Ecco la fiaccola di Sarroch che «seguita a vampare fiamme, cioè a vomitare sul Golfo degli Angeli tutti i gas di scarico della raffineria, illuminando sinistramente una intricata foresta di tubi, alambicchi, serpentine e sfere». Ecco il gatto Mangiaquandonehai, ecco la verga di olivastro del maestro che sferza prima di colpire le mani dell'alunno Daniele Mele. Ecco il ricordo di una nonna «morta ind'una bella die de èrànu, a norantannos, cuntenta: ind'una manu tenìat su rosariu e, in s'atra manu, sa tabacchera».
Scrive il poeta: «Tutti in paese, mi chiamano / Culobianco il campanaro. / Sono pagato per suonare. / Il paese è un pugno di case / e vi muore poca gente, / ma la campana dei morti / ha sempre lavoro: trigesimi / annali, decennali, centenari».
E poi, poco più avanti: «Voglio dire che per i poveri / i rintocchi sono sei, / dodici per i ricchi / diciotto per i preti».
Parole. In lingua italiana e in lingua sarda. Senza preferenza: ma con pari dignità.
Parole. Mai a caso. Sempre scelte, volute, pesate e ben sposate fra loro.
Parole: gonfie di significato e di saggezza. Già aspre contro la «cattiva letteratura folcloristica».
Sardità, dunque: ma mai caricatura. E, forse, in troppi, questo insegnamento di Francesco Masala lo hanno dimenticato….