A meno di un anno dalla scadenza della legislatura, le elezioni amministrative di domenica scorsa hanno assunto un evidente significato politico.

I partiti si sono riposizionati, preparandosi alla battaglia del voto che conta, nel prossimo maggio. Giorgia Meloni vuole passare all’incasso spingendo Forza Italia e Lega a smarcarsi dal Governo Draghi. Salvini aumenterà il pressing sul premier, per ottenere qualche risultato e risalire la corrente contraria in vista delle Politiche. Letta ricorda che il Pd è il primo partito italiano, mentre Conte deve leccarsi le ferite che, al momento, sembrano inguaribili.

Il M5s rappresenta circa il 32 per cento del Parlamento, ma domenica scorsa ha racimolato in media il 2 per cento. Un crollo non inaspettato ma clamoroso al tempo stesso. Non ci voleva un grande analista politico per capire che la crescita tumultuosa dei grillini altro non era che un fuoco di paglia. Una parte dell’elettorato, da molti anni a questa parte, sposa con convinzione chi promette di «aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno». È accaduto al Partito radicale, si è ripetuto con il M5s. Poi le speranze vengono disilluse ed ecco che il fenomeno si sgonfia. Inoltre, i grillini si sono frantumati in tanti di quei segmenti che non si capisce più che anima abbiano. C’è Conte, leader di lotta e di governo, c’è Di Maio, solo di governo, c’è Di Battista, solo di lotta, c’è Beppe Grillo, rinchiuso in una sorta di limbo dal quale osserva apparentemente disinteressato. (….)

E c’è infine Casaleggio che evoca la nascita di un nuovo movimento sulle basi populiste che ne decretarono il successo. Un pasticciaccio irrimediabile. Conte, avvocato prima prestato alla politica e adesso interamente conquistato dalle stanze del potere, può mettersi il cuore in pace e il Pd farebbe bene a riflettere sulla coalizione ampia che dovrebbe comprendere anche i grillini. Potrebbe essere un abbraccio mortale per il primo partito italiano.

Giorgia Meloni, all’indomani del voto, ha proclamato «la fine del terzo polo e la rinascita del bipolarismo». Sarà vero?

Il tramonto del M5s toglie una gamba al tripartitismo che ha caratterizzato l’ultima legislatura. Però, all’orizzonte spunta il “centro” politico che non è mai morto e che ogni tanto riaffiora in superficie come una balena. Azione di Carlo Calenda, che sembrava una piccola formazione insignificante, ha ottenuto un risultato lusinghiero. Così come Italia Viva di Matteo Renzi. L’ex premier, dopo tanti sganassoni, ha rialzato la testa. Questi due piccoli partiti potrebbero avere il potere di far vincere uno o l’altro polo. Ecco perché l’analisi di Giorgia Meloni potrebbe essere fallace.

La grande partita adesso è quella della legge elettorale. Così com’è (cioè un guazzabuglio inguardabile) favorirebbe il centrodestra che ha una parvenza di unità ma Salvini e Meloni vorrebbero che fossero ancora più marcati i tratti maggioritari. Il Pd è tentato di modificarla in senso proporzionale, variazione che andrebbe bene anche al M5s, spinto dall’istinto di sopravvivenza. Per Calenda e Renzi sarebbe una manna dal cielo, con un pugno di voti terrebbero in scacco il Parlamento.

Le manovre dei partiti intorno alla legge elettorale non tengono in conto la questione fondamentale: garantire la governabilità. Draghi è diventato premier perché Mattarella, esasperato dalle giravolte prima di Salvini e poi di Renzi che hanno fatto cadere due volte Conte, ha imposto un governo del presidente. Con il Paese stremato dalla pandemia, c’era poco da scherzare. Ma tutto il caos era figlio legittimo della legge elettorale pastrocchio.

L’ideale sarebbe replicare a livello nazionale il sistema utilizzato per eleggere i sindaci. Primo turno per scremare le candidature a premier, eventuale ballottaggio per determinare il vincitore. Chi prende anche un solo voto in più ottiene la maggioranza assoluta e va al governo. Al momento, è una prospettiva irrealizzabile. La nuova legge elettorale, che sarebbe indispensabile dopo la sciagurata riduzione dei parlamentari voluta dai grillini, sarebbe bloccata dai veti incrociati. Come è accaduto per l’elezione del Presidente della Repubblica. I tempi cupi non sono affatto finiti.

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