Quei finali un po' amari
Enrico PiliaU na squadra matura, o almeno ambiziosa, può viaggiare a diverse velocità. Aggredire, conquistare ogni spazio lungo i centodieci metri del campo. Ma anche congelare il pallone, abbassando i ritmi, per gestire un vantaggio o una superiorità territoriale. L'esempio ce lo ha fornito la Juve di Allegri, due squadre in una, ma sempre cinica: nel portarsi in vantaggio e nel controllare gli eventi, dopo. Si chiama maturità, non si ottiene a tavolino ma con il lavoro duro e iniezioni di esperienza nell'organico. Il Cagliari ci sta arrivando, ci arriverà, ma nelle ultime uscite dove poteva e doveva gestire il vantaggio, ha capito poco e male cosa fare. Con la Lazio, sempre all'assalto per poi cedere di schianto dopo il 90'. Con il Parma, una partita di straordinaria importanza, dove potevi imboccare un'altra strada e invece sei lì a capire cosa è accaduto, il Cagliari ha ceduto 30 metri di campo, dopo inutili assalti ha scricchiolato una, due, cinque volte, fino a prendere il gol del pareggio, episodio molto simile al gol del laziale Caicedo. Maran è convinto del contrario: «Giochiamo per fare gol fino all'ultimo», ha detto sabato sera, «tiriamo più degli altri», avvalorando la tesi del terzo cambio saltato con un concetto corretto: «Non ho voluto che l'arbitro desse altro recupero e ho tenuto gli stessi in campo».