«È passato un anno da quando Alberto è stato arrestato in Venezuela, un anno di attesa insopportabile per lui e per noi».

Così Armanda Colusso Trentini, la madre del cooperante veneziano di 46 anni detenuto dal 15 novembre scorso in un carcere di Caracas, in Venezuela, dopo essere stato fermato ad un posto di blocco. Un appello, con un intervento in prima pagina su Repubblica, affinché continui la pressione mediatica per portare alla liberazione di suo figlio Alberto, che lavorava come coordinatore con la ong francese per disabili “Humanity and Inclusion”.

«Un anno senza il mio Alberto, chiediamo tutti la sua liberazione», è il titolo dell'appello alla mobilitazione. «Domani ci incontreremo a Milano per parlare ancora una volta di lui – continua - E chiedo a voi tutti di non stancarvi mai di farlo, perché solo una forte pressione mediatica può convincere chi ha il potere ad agire e riportarlo finalmente a casa.  Alberto ha dedicato la sua vita agli altri e ora è lui ad aver bisogno di voi: scrivete, parlatene, insistete, perché chi deve decidere lo faccia senza più tentennamenti, come è successo per altri nostri connazionali».

Il governo venezuelano ha rotto il silenzio per la prima volta in un’intervista alla Cnn lo scorso settembre, nel trecentesimo giorno di detenzione: «Conosco bene il caso di Alberto Trentini», aveva dichiarato il il ministro degli Esteri del Venezuela, Ivàn Gil. «I suoi diritti umani non sono stati violati, ha un avvocato, è sotto processo, c'è un'azione legale e seguirà il suo corso. C'è un procedimento che deve essere rispettato. In Venezuela ci sono migliaia di tribunali che rappresentano tutte le nazionalità: colombiani, peruviani, italiani, accusati di molti reati. Il più comune è il traffico di droga».

Nessuna accusa però è stata mossa al cooperante, che era giunto in Venezuela il 17 ottobre 2024 per una missione e un mese dopo mentre viaggiava da Caracas a Guasdalito è stato fermato ad un posto di blocco e arrestato. Da quel momento si trova nel carcere El Rodeo I, ubicato nello Stato di Miranda, alla periferia di Caracas, a circa 30 chilometri dalla capitale, in una località chiamata Guatire. 

Trentini molto probabilmente è considerato una "pedina di scambio" del regime di Nicolas Maduro, all'interno del clima di contestazione al governo venezuelano.

Le trattative diplomatiche, come doveroso in questi casi, proseguono sotto traccia.  «Stiamo lavorando perché possa avere il miglior trattamento possibile e possa ritornare il prima possibile», ha detto più volte il ministro degli Esteri Antonio Tajani. «Cercheremo - aggiunge il vicepremier - di fare in modo possa rientrare in Italia e possa essere liberato insieme agli altri nostri connazionali. Due sono stati liberati un mese fa, ora lavoriamo in una situazione che è caratterizzata dall'incertezza e dalle difficoltà, cercheremo di fare tutto il possibile per riportarlo in Italia sano e salvo». Un mese fa l’ultima telefonata alla famiglia: «Le sue condizioni di salute sono buone, così come lui ha assicurato alla famiglia nel corso della telefonata. È stato un messaggio di disponibilità da parte delle autorità venezuelane quello di farlo parlare ancora una volta con la sua famiglia».

Resta intanto rifugiato in Italia, in quanto protetto dal diritto internazionale, Rafael Ramirez: è uno dei principali oppositori di Maduro e nel settembre 2024 si vide archiviare nei suoi confronti le accuse di peculato e riciclaggio per i pagamenti effettuati ad una società petrolifera. L'archiviazione per Ramirez, richiesta dai pm capitolini, fu accolta dal Tribunale di Roma. Due mesi dopo arrivò l'arresto in Venezuela per il cooperante italiano.

(Unioneonline/D)

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