Pax trumpiana: tregua a tempo o pace duratura?
Molte le criticità da superare, e ora si guarda all’UcrainaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Israele e Hamas insieme a Sharm el-Sheikh è un dato di fatto certo. Probabilmente tardivo, fin troppo si potrebbe esclamare. Ma, quanto meno (meglio tardi che mai), le armi tacciono, si può timidamente pensare al futuro, offrire alle popolazioni coinvolte un barlume di speranza. Merito di Donald Trump, lo si deve dire. Ma anche delle Piazze spontanee formate di persone che si sono letteralmente riversate per le strade non solo italiane, ma anche di Berlino, Parigi, Istanbul, Buenos Aires, Nairobi, Dakar e così via, e che hanno contribuito, con la loro spinta emotiva e partecipazione, ad esercitare sui governi la necessaria pressione ritagliandosi un ruolo importante nel perseguimento di questo risultato.
Qualcosa sembra essere cambiato nel sentire comune e i governi tutti, italiano compreso, dovrebbero prenderne atto rifuggendo dagli schemi tipici della contrapposizione politica strictu sensu considerata. Anche perché, a livello argomentativo, a voler assecondare quella narrazione inchiave contrappositatoria tra la destra di Giorgia Meloni e la sinistra di Elly Shlein e Giuseppe Conte, al di là degli episodi di violenza da condannare senza se e senza ma, la maggioranza di Governo correrebbe il rischio di lasciar intendere, indirettamente, che i partiti di opposizione avrebbero iniziato ad acquisire i necessari consensi per offrire alternative utili al Paese. Piuttosto, la discussione, dovrebbe ora incentrarsi sui contenuti dell’accordo che dovrà garantire il risultato agognato e perseguito del cessate il fuoco. Sarà effettivo? Sarà duraturo? Gli interrogativi si susseguono e probabilmente non possono neppure abbozzarsi risposte in qualche modo sufficientemente certe.
Concentrandoci sui contenuti dell’accordo, gli stessi dovrebbero dipanarsi, in fase iniziale, nei termini che seguono: 1) Hamas, già oggi, restituirà gli ostaggi e, in cambio, gli israeliani, da parte loro, libereranno un migliaio circa di prigionieri palestinesi; 2) l’esercito di Israele inizierà le operazioni di ritiro dalla Striscia; 3) Hamas dovrà provvedere a disarmarsi completamente; 4) si lavorerà in vista della formazione di un Governo cosiddetto “tecnocratico” controllato da una squadra coordinata dallo stesso Donald Trump con il sostegno di Tony Blair; 5) la sicurezza sarà garantita dagli Stati Uniti, ma sarà operativamente gestita da una forza arabo-internazionale; 6) si terranno, quando i tempi saranno maturi, quindi in un futuro incerto nell’ “an”, nel “quando” e nel “quomodo”, formali elezioni con conseguente gestione palestinese del territorio.
Probabilmente, regna la consapevolezza della delicatezza delle operazioni da porre in essere che, nella loro espressione grafologica appaiono di pronta fattibilità, ma che proprio nel loro momento attuativo potrebbero rinvenire non poche criticità. Tanto più allorquando, lo scoglio da superare sia rappresentato niente meno che dall’ipotesi del costituendo (questo perlomeno l’auspicio) futuro Stato Palestinese rispetto al quale Benjamin Netanyahu si è costantemente dichiarato contrario. Ed ancor di più allorquando lo Stato Palestinese dovrà nascere come autentica e concreta realtà autonoma e indipendente se davvero si voglia arginare una volta per tutte il conflitto tra le due popolazioni, quella israeliana e quella palestinese per l’appunto. L’impresa è forse ardua, ma vale la pena impegnarsi per il conseguimento del risultato.
Donald Trump, nel sostenere che la “guerra a Gaza (sia) finita” e che il “cessate il fuoco reggerà”, parrebbe assumere di fatto il ruolo gravoso di garante della stabilità degli accordi e del loro successo anche in ragione della circostanza che determinante è stato financo il sostegno fattivo di Turchia e Qatar nel portare Hamas al tavolo del negoziato. In buona sostanza, se sarà davvero pace definitiva, sarà solo il tempo a raccontarlo. Un interrogativo su tutti si impone: Donald Trump può, allo stato, replicare il risultato nel contesto del conflitto russo-ucraino? Dicendolo diversamente, il metodo medio-orientale della cosiddetta internazionalizzazione del conflitto, può essere utilizzato anche nel contesto ucraino per indurre Vladimir Putin al cessate il fuoco? Quale player internazionale dovrebbe coinvolgere? Probabilmente la risposta è direttamente conseguente e non potrebbe prescindere dall’indicare il coinvolgimento diretto della Cina di Xi-Jin-Ping la quale, potrebbe non avere gli stessi obiettivi del Presidente degli Stati Uniti d’America.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro