Ci sono volute più di cento ore di scavi per raggiungere Rayan, il bimbo di 5 anni che martedì è precipitato in un pozzo in Marocco, bloccato a 32 metri di profondità in un pertugio largo in certi punti soli 20 centimetri.

Tutto il mondo è rimasto per giorni col fiato sospeso e ha tirato un sospiro di sollievo quando ieri sera è stata data la notizia del salvataggio: il piccolo era stato estratto da quel buco enorme. Ma dopo pochi minuti la doccia fredda: Rayan è morto. E, dal comunicato della Casa reale del Marocco, la causa del decesso sarebbero le ferite riportate nella caduta.

Il dispiegamento di forze in campo è stato vastissimo, un fatto che ha avuto eco mondiale. Sul posto, tra i tanti, era arrivato da Erfoud anche Ali El Jajaoui, uno specialista di pozzi che, appena ha sentito la notizia del bimbo, è subito partito dal sud del Paese per raggiungere il villaggio di Rayan. E per ore ha scavato a mani nude dopo che un imponente lavoro di 5 escavatori aveva aperto una voragine che ha permesso di arrivare alla profondità in cui si trovava il bambino e di creare una via di fuga con la posa di tubi in orizzontale così da formare un passaggio per far tornare il piccolo alla luce.

Rayan in questi giorni è stato monitorato da alcuni telefonini con videocamera, gli sono stati forniti cibo e acqua. Suo padre ieri ha detto di essere riuscito anche a sentire alcuni rumori: il figlioletto respirava a fatica. Aveva ferite alla testa, chiamava la mamma.

Ma quando sembrava che il dramma si avviasse a una conclusione felice, è arrivata la notizia tanto temuta: il bambino non ce l’ha fatta. Così come non ce la fece Alfredino Rampi, una storia simile a questa che risale al 1981 quando, vicino a Vermicino, il bimbo di 6 anni era caduto in un pozzo e i soccorritori non sono riusciti a salvarlo: “Drammatico vedere che la storia si ripete", ha detto Daniele Biondo, presidente dell’associazione intitolata ad Alfredino. "Chi ha gestito la vicenda di Rayan forse ha ripetuto gli errori del passato fatti in Italia a Vermicino - ha aggiunto Biondo - All'epoca la presenza di tante persone sul posto fu uno degli ostacoli, non solo fisici ma anche psicologici, per i soccorritori messi sotto pressione, così come si è vista tutta quella calca sul posto a Chefchaouen".

(Unioneonline/s.s.)

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