Sale la tensione in Medioriente: il leader di Hamas Ismail Haniyeh, capo dell'ufficio politico dell’organizzazione dal 2017, è stato ucciso in un raid israeliano nella sua residenza a Teheran. 

Al momento nessun dato è stato fornito dall'Iran sulle modalità dell'uccisione, l’ipotesi è quella di un missile teleguidato lanciato da un aereo sul bersaglio.

La residenza, si limitano a riferire le Guardie della Rivoluzione Islamica, «è stata colpita a Teheran e, a seguito di questo incidente, lui e una delle sue guardie del corpo sono stati martirizzati»: «Il regime sionista dovrà senza dubbio affrontare una risposta dura e dolorosa da parte del potente e vasto fronte della resistenza, in particolare dell'Iran – scrivono le Guardie rivoluzionarie -. Questo crimine indica che la banda criminale, assassina e terrorista dei sionisti non ha alcun rispetto per le norme internazionali e non esita a commettere qualsiasi atto criminale, al fine di coprire il suo umiliante fallimento nella guerra di Gaza». Anche l'ala militare di Hamas a Gaza ha dichiarato che l'uccisione «porterà la battaglia a nuove dimensioni» e avrà «enormi conseguenze in tutta la regione».

«Un atto codardo e uno sviluppo pericoloso», è stata la condanna del presidente palestinese Abu Mazen, che ha invitato «il popolo palestinese e le forze popolari all'unità, alla pazienza e alla fermezza di fronte all'occupazione israeliana». In queste ore l'Iran sta tenendo una riunione di emergenza del Consiglio supremo di sicurezza nazionale nella residenza del leader supremo, Ali Khamenei, «un evento che accade in circostanze straordinarie», ha scritto su X Iran international. 

La notizia ha fatto in poco tempo il giro del mondo: mentre le fazioni palestinesi invocano uno sciopero generale e manifestazioni di protesta nei Territori, il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha affermato che il cessate il fuoco a Gaza è adesso «imperativo». Gli Stati Uniti, ha aggiunto, non sono stati «informati» né «coinvolti».

Ismail Haniyeh aveva 62 anni, era a capo dell'ala politica di Hamas ed era il volto dell'organizzazione estremista palestinese nel mondo. Era stato anche primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese dal 2006 al 2007. La sua vita era stata segnata dal conflitto arabo-palestinese: era nato durante l'occupazione egiziana della Striscia in un campo profughi, dove la famiglia si era rifugiata dopo l'esodo palestinese in seguito alla nascita di Israele nel 1948. Aveva studiato nelle scuole dall'UNWRA, si era laureato in lingua e letteratura araba presso l'Università islamica di Gaza, era sposato e padre di 13 figli. Era stato più volte arrestato da Israele e deportato in Libano; da anni viveva in Qatar. La sua figura era considerata fra i volti meno estremisti di Hamas; ha avuto, e aveva tuttora, un ruolo centrale nelle negoziazioni per un cessate il fuoco a Gaza, partecipando anche di persona agli incontri con le delegazioni israeliane. Ora la sua uccisione complica ulteriormente lo scenario.

(Unioneonline/D)

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