Dal Sulcis a Chicago, ora il Cagliari: Fiori lo aveva detto dieci anni fa: «L’artigianalità è oro puro»
L’intervista del nuovo socio rossoblù rilasciata a L’Unione Sarda nel 2015Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
È partito dal Sulcis alla volta degli States alla fine degli anni '80 per studiare “business administration” e oggi che, insieme a tre soci, è diventato il primo produttore di birra artigianale di Chicago, si può davvero dire che il suo “sogno americano” sia decollato.
Lui si chiama Maurizio Fiori, classe 1972, esempio vivente di come il talento e la passione, se supportati da anni di studio, motivazione e olio di gomito possano davvero creare qualcosa di grande, anche quando si nasce nel capoluogo della provincia più povera d'Italia.
Sì, perché che Maurizio Fiori, padre operaio, nonno minatore, fosse destinato a qualcosa di grande già lo si intuiva quando, a 17 anni, partì per gli States per frequentare il quarto anno del liceo Scientifico e tornò parlando perfettamente l'inglese. La seconda lingua la sfruttò, dopo il diploma conseguito (manco a dirlo) con il massimo dei voti, per ripartire ancora in America, destinazione Seattle, per studiare “business administration”.
Quattro anni dopo, per il giorno della consegna dei diplomi di laurea, fu scelto proprio lui per il discorso finale davanti a centinaia di studenti, docenti e genitori. Avrebbe potuto farlo anche in giapponese, perchè mentre studiava per laurearsi perfettamente in corso, aveva trovato anche il tempo per un anno di studio in Giappone, aggiungendo questa lingua al suo curriculum con il quale si presentò al mondo del lavoro che, per diversi anni fu la Borsa.
Da New York a Londra da Francoforte a Parigi, un cittadino del mondo con il cuore nella sua Carbonia dove vive la sua famiglia, alla quale è legatissimo, che lo ha supportato in ogni scelta. Anche quella che, alla fine del 2006, è nata mentre una sera, insieme a tre amici, degustava una birra artigianale in un pub di Chicago, dove oggi vive insieme alla moglie Valeria e ai suoi due splendidi bambini.
«Eravamo alla ricerca di un'idea di business - racconta - e così ci siamo chiesti: perché non apriamo un birrificio? Avevamo le carte in regola: uno esperto in ospitalità, uno in management, uno in contabilità e uno era mastro birraio».
Così hanno iniziato, praticamente da zero: «Avevamo una ricetta e un logo: siamo andati nel vicino Wisconsin dove c'era un birrificio e abbiamo fatto produrre la nostra birra che poi, a Chicago, abbiamo portato nei pub e nei supermercati in una sorta di porta a porta che ha conquistato sempre più persone».
Quando hanno visto che c'era un interesse un po' più serio, hanno deciso di investire i loro capitali: «Abbiamo individuato un edificio che poi siamo riusciti a comprare ed è iniziata l'avventura vera e propria. Ogni volta che realizzavamo profitti li rimettevamo in gioco per aumentare la capacità produttiva e stiamo facendo ancora oggi così. Siamo passati dai mille litri del primo anno a produrre, con la nostra “Half Acre Beer Company”, circa due milioni di litri nel 2014. E nel 2015 arriveremo a due milioni e mezzo. Siamo i primi produttori di birra artigianale di Chicago ovvero della terza città più grande degli Stati Uniti. Nel nostro primo edificio di mille metri quadri, che all'inizio sembrava enorme, non ci stavamo più e così ne abbiamo preso un altro che è quasi di 10 mila metri quadrati e che sarà la nostra casa per i prossimi vent'anni».
Il potenziale di crescita è enorme e va in parallelo con il settore dell'ospitalità: «Abbiamo una sala di presentazione attaccata a un birrificio dove stiamo predisponendo una cucina e stiamo già preparando una seconda sala di presentazione nel birrificio nuovo. In una sera vendiamo quasi 1.500 pinte di birra in una sala da 50 posti. Qui la gente risponde tanto all'artigianalità: il concetto di bere e mangiare per “gustare” qui è molto forte e noi ci siamo trovati nel posto giusto al momento giusto».
E quando il cliente americano chiede di accompagnare la birra a un bel piatto di salumi e formaggi, a una pasta condita con un sugo e un olio di qualità, la mente vola per migliaia di chilometri fino a casa, alle botteghe degli “artigiani” del vino e dell'olio, alle mamme e alle nonne che preparano il pane, i dolci, la pasta all'uovo: «L'eccellenza artigianale è una delle cose che in Sardegna viene ancora data come scontata mentre qui è oro puro. Questo “nuovo mondo” sta cercando le cose del “vecchio mondo” in maniera molto, molto interessata. In Sardegna abbiamo una base culturale legata al territorio in modo profondo, ma mancano i sistemi, i capitali, le infrastrutture, le condizioni finanziarie.
In America il bacino d'utenza è immenso e quel detto “la Sardegna può vivere di rendita grazie ai suoi tesori” potrebbe farsi assolutamente concreto, non per forza aspettando la gente in casa, ma consorziandosi per unire il meglio della produzione locale e andare a cercare la gente, anche oltreoceano. Tanti piccoli produttori sardi, ad esempio, fanno un olio pazzesco che qui sfonderebbe. Non è necessario andare all'estero per realizzare un business ma se si punta ai grandi numeri l'estero deve essere per forza un punto d'arrivo».
