Si mostra sempre più complesso il fenomeno migratorio degli italiani verso l’estero. Non solo una “fuga di cervelli”, ma i protagonisti sono cittadini di ogni età e grado di istruzione. Da un lato i lavoratori altamente qualificati che inseguono prospettive di carriera, dall’altro chi è alla ricerca di occupazione nei settori della ristorazione, delle costruzioni, nel manifatturiero. Sono queste alcune delle novità che emergono dal Rapporto italiani del mondo della fondazione Migrantes, progetto editoriale e culturale della Chiesa presentato oggi a Roma, che mette in luce anche le difficoltà legate alla pandemia. Quest’anno, nello speciale, i temi scelti sono stati Covid e città e ad occuparsene c’è anche una ricercatrice sarda dell’Università di Ginevra, Marisa Fois.

ITALIANI ALL’ESTERO - Al 1° gennaio 2021, la comunità strutturale dei connazionali residenti all'estero è costituita da 5.652.080 unità, il 9,5% degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia.

Dai dati Istat, nell'anno del Covid il nostro Paese ha perso quasi 384mila residenti sul suo territorio mentre ne ha guadagnati 166mila all'estero (dato Aire): un aumento di presenze all'estero del 3% nell'ultimo anno. 

BREXIT – Le partenze degli italiani sono state limitate dall’emergenza sanitaria, ma il Regno Unito ha fatto registrare un vero e proprio boom, legato in gran parte al fatto che le regole Brexit hanno fatto emergere le situazioni di chi risiedeva sul territorio senza un’iscrizione ufficiale all’anagrafe. È questa l’unica nazione con saldo positivo: 8.358 iscrizioni in più rispetto al 2020, +25,1% di variazione dal 2020 che segna un aumento, in un anno, del 33,5%. Delle oltre 33mila iscrizioni nel Regno Unito, il 45,8% riguarda italiani tra i 18 e i 34 anni, il 24,5% interessa i minori e il 22% sono giovani-adulti tra i 35 e i 44 anni.

IMMIGRATI IN ITALIA – Dalle recenti rilevazioni emerge inoltre come il numero di immigrati che vivono in Italia sia più o meno pari agli italiani che vivono all’estero. "La mobilità - commentano monsignor Gian Carlo Perego e don Giovanni De Robertis, rispettivamente presidente e direttore della fondazione Migrantes - ha cambiato l'Italia e ha cambiato gli italiani e può, a buona ragione, essere considerato l'elemento più importante di cambiamento sociale, economico, culturale, anche religioso dell'Italia degli ultimi decenni. Purtroppo, però, la mobilità non è stata sufficientemente governata: non solo la mobilità degli italiani nel mondo, ma anche quella dei 'nuovi italiani', dei migranti arrivati per lavoro, per studio, per ricongiungimento familiare o per protezione internazionale. Spesso i migranti sono considerati come 'quelli' che 'rubano' o 'sfruttano' qualcosa della nostra ricchezza".

DONNE E FAMIGLIE - Sedici anni fa le donne italiane iscritte all'Aire erano il 46,2% (1.435.150 in valore assoluto), diventate il 47,8% dieci anni fa (1.967.563 in valore assoluto) e, attualmente, si registrano 2.718.678 iscrizioni, il 48,1% del totale Aire.

"Un processo che è, allo stesso tempo, di femminilizzazione e di familiarizzazione", spiega Migrantes. Stando ai dati dell'Ufficio Centrale di Statistica del ministero dell'Interno aggiornati all'inizio del 2020, su quasi 5,5 milioni di residenti all'estero, le famiglie sono 3.223.486.

MATTARELLA – Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio a Migrantes: "La Comunità di italo-discendenti nel mondo viene stimata in circa centottanta milioni di persone, cui si aggiungono gli oltre sei milioni di cittadini italiani residenti all'estero. La portata umana, culturale e professionale di questa presenza è di valore inestimabile nell'ambito di quel soft-power che consente di collocare il nostre Paese tra quelli il cui modello di vita gode di maggior attrazione e considerazione".

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L’INTERVISTA – Tra i vari contributi, c’è anche quello di Marisa Fois, originaria di Busachi, che lavora all'Università di Ginevra con un dottorato sull’Africa del Nord; dal 2017 collabora al Rapporto “Italiani nel mondo”.

Quest’anno, lo speciale è dedicato al Covid e alle città e a come le comunità italiane abbiano vissuto le migrazioni. Tra le 34 realtà c’è Algeri. In quest’ambito sono stati quattro gli elementi messi in luce: “Il fatto che il coronavirus abbia aumentato il senso di comunità e di mutuo aiuto – spiega la ricercatrice a UnioneSarda.it – riscoprendo anche il valore del volontariato; sono poi nate nuove forme di associazionismo grazie all’uso degli strumenti digitali e non solo a livello accademico: le riunioni sono state fatte online, le mostre potevano essere visitate senza muoversi di casa. La vita insomma si è spostata dal reale al virtuale”. Gli altri due punti sono stati “il reinventarsi di molte professioni, come i ristoratori che hanno strutturato la pratica delle consegne a domicilio e riorganizzato gli spazi. Infine la strana ubiquità vissuta in Algeria”.

In che senso?

“La mobilità italiana in questo Paese è di lungo raggio e composta da pendolari che lavorano nei settori del management, dell’industria o del petrolio. Con la pandemia i loro spostamenti sono stati bloccati, l’Algeria aveva chiuso le frontiere e tanti non sono potuti ripartire. Ecco quindi che dal nord Africa comunicavano con l’Italia, così come con la Francia. Chiusi in casa hanno cominciato a vivere diversamente i luoghi e ad affezionarsi a un Paese che non conoscevano, tanto che non sono rari i casi di chi ha deciso poi di restare”.

Un valore diverso nato dalla distanza?

“Più che altro la distanza vissuta come una forma di sicurezza. E in questo periodo di emergenza sanitaria si sono riallacciati ad esempio i rapporti con familiari che prima non si sentivano spesso”.

Come ha realizzato il suo saggio?

“Sono entrata in contatto con l’ambasciata italiana di Algeri e ho intervistato 11 italiani. Attraverso i loro racconti ho spiegato come la pandemia abbia caratterizzato la quotidianità e tratteggiato il punto di vista italiano e algerino”.

Come sono stati percepiti gli italiani dagli algerini?

“Positivamente e con una spiccata solidarietà. Il primo caso di positività accertato ha riguardato proprio un italiano che proveniva oltretutto dalla ‘zona rossa’, la provincia di Lodi, e lavorava in un sito petrolifero nella parte meridionale dell’Algeria. Ma gli italiani non sono stati mai visti come untori e, anzi, il fatto che il positivo sia stato subito isolato non ha intaccato la percezione dei connazionali. Dato che la prima ‘bolla’ grave si è manifestata a Blida ed è stata collegata a viaggi e scambi con la Francia, questo ha dato luogo allo sfogo di un sentimento anti-francese, tanto che circolavano online dei ‘meme’ sul fatto che ci fosse del Covid una versione ‘di lusso’, ossia ‘made in Italy’, ironicamente”.

Tra gli intervistati c’era anche qualche sardo?

“Sardo sì ma di seconda generazione: Agostino Mulas, che è nato a Madrid da genitori sardi e lavora in Algeria come funzionario dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Mi ha spiegato che la preoccupazione principale è stata quella di assicurare che tutti i rifugiati del campo di cui è responsabile fossero in buona salute. Poi limitare gli incontri, aumentando anche le linee telefoniche per evitare che le persone si presentassero negli uffici. La tecnologia li ha aiutati infine nel privato, mi ha detto ad esempio che hanno festeggiato il 90esimo compleanno di sua madre in collegamento internet”.

Ci sono state vittime italiane del Covid?

“Nel 2021 una persona. Si tratta di un caso noto perché l’ambasciata ha seguito l’iter per il rientro delle spoglie in Italia, ma non è da escludere che ce ne siano state altre che, magari, avevano la doppia cittadinanza”.

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