“Donne alla Gogna”, parte la campagna contro la violenza verbale e social
L’iniziativa si aprirà a settembre con una serie di incontri pubblici in diverse città italiane, tra cui CagliariPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Dare un nome alla violenza verbale non basta: occorre scardinarla, parola per parola. Foto per foto. Questa non lascia lividi visibili, ma apre una ferita che si consuma nel silenzio assordante dei commenti, tra like e condivisioni, dove il sarcasmo diventa un’arma e la parola, invece, una condanna.
È l’odio verbale contro le donne che si muovono nello spazio pubblico — giornaliste, politiche, intellettuali — troppo spesso trascinate sulla piazza virtuale, spogliate della loro professionalità e date in pasto alla gogna social.
A questa deriva vuole mettere un argine “Donne alla gogna. Stop all’istigazione all’odio social contro giornaliste e politiche”, una campagna di sensibilizzazione ideata dal linguista Massimo Arcangeli, insieme all’associazione Giulia Giornaliste e alle giornaliste Susi Ronchi e Beatrice Curci.
L’iniziativa si aprirà a settembre con una serie di incontri pubblici in diverse città italiane – tra cui Cagliari – e si concluderà con la stesura partecipata di un manifesto collettivo, nato dai contributi di cittadini, testimoni, esperti, artisti e attivisti.
«Non si tratta solo di contrastare l’insulto», spiega Arcangeli, «ma di smascherare un sistema di delegittimazione sistematica che prende di mira le donne che osano parlare, scegliere, esporsi». E l’elenco delle bersagliate non lascia spazio a dubbi: Elly Schlein, Giorgia Meloni, Laura Boldrini, Liliana Segre, Ilaria Salis, Rula Jebreal, tra le più note.
Donne molto diverse, accomunate dal fatto di essere finite nel mirino di post pubblici carichi di disprezzo e veleno.
A rendere ancora più inquietante il quadro è il dossier in fase di elaborazione da Arcangeli, secondo cui la violenza verbale non è soltanto opera di hater isolati, ma viene alimentata scientemente da amministratori, politici e influencer, spesso con una precisa regia comunicativa. «I contenuti condivisi non sono mai neutri», avverte. «Scatti rubati, fotogrammi decontestualizzati, frasi studiate: tutto serve ad aizzare, a delegittimare, a disumanizzare».
Nel mirino anche figure pubbliche come Matteo Salvini e Roberto Vannacci, citati dal linguista come autori di post «sistematicamente denigratori» verso esponenti femminili.
Il leader della Lega, secondo il Barometro dell’Odio 2024 di Amnesty International, firma infatti 4 dei 5 post Facebook con il più alto tasso di incitamento all’odio e alla discriminazione.
La campagna più che alla denuncia, punta alla costruzione e all’educazione. Il manifesto finale, aperto a contributi scritti, audiovisivi o performativi, sarà uno strumento politico e culturale per dire “No” all’istigazione all’odio e al body shaming, ma anche a quegli stereotipi insinuanti e apparentemente innocui che smontano l’identità e la credibilità delle donne pezzo dopo pezzo.