Una raffica di colpi in piena notte, un proiettile alla spalla, l’auto crivellata davanti al cimitero. E lui, invece di cedere al panico, ha guidato i suoi uomini, risposto al fuoco e dopo si è fatto portare in ospedale, indicando pure cosa fare.

È da notti così che si misura il valore di un comandante e ora, a distanza di trent’anni, Aversa non dimentica e restituisce quell’onore con la cittadinanza onoraria a Mariano Angioni, quartuccese, oggi generale di divisione in pensione, allora giovane capitano dei carabinieri al comando della Compagnia cittadina.

È il modo con cui una città dice “grazie” a chi, tra il 1987 e il 1992, ha rischiato la vita per proteggerla, rispondendo al fuoco nemico con fermezza e spirito di servizio. Un comandante che, prima ancora che di gradi, si è fregiato del rispetto dei suoi uomini e di un intero territorio - tra i più difficili d’Italia-, quando la camorra “spadroneggiava” e il clan dei Casalesi era all’apice della potenza.

«In quegli anni – racconta – la criminalità organizzata era una presenza soffocante. Se oggi ricevo questo riconoscimento, è solo grazie ai miei carabinieri, alle loro rinunce e al sostegno della magistratura. Abbiamo vissuto anni frenetici, fatti di arresti, indagini, trappole e notti insonni lontani spesso dalle nostre famiglie».

Il nome del generale sardo è legato a una delle pagine più importanti della lotta alla camorra: il blitz di Santa Lucia, la notte del 12 dicembre 1990. Un summit segreto tra i big del clan era stato scoperto grazie a un’informazione riservata. Angioni aveva raccolto gli uomini disponibili in caserma e guidato l’azione in prima persona. «Eravamo pochi, era tardi, ma sapevamo che quella poteva essere l’occasione buona. Ci fu un conflitto a fuoco, un mio collaboratore fu colpito sul giubbotto antiproiettile, ma riuscimmo a entrare e a farli arrendere».

In manette finirono sei dei vertici del clan: Francesco Schiavone di Nicola detto "Sandokan", Francesco Bidognetti detto "Cicciott'e mezzanotte", Salvatore Cantiello detto "O' Carusiello", Raffaele Diana detto "Rafilotto", Francesco Schiavone di Luigi, alias "Cicciariello" e Giuseppe Russo alias “Peppe o’ padrino”. Tra gli arrestati anche il vicesindaco di Casal di Principe, Gaetano Corvino, che aveva messo a disposizione la sua casa per il summit.

Ma Angioni ha affrontato ben più di una retata. Ha sventato un attentato con autobomba alla caserma di Aversa nel 1989, aveva resistito all’attacco popolare contro la Stazione dei Carabinieri di San Cipriano lo stesso anno «assaltata dalla folla a seguito dell’arresto del nipote di un boss locale» e, nel 1987, aveva contrastato l’esplosione alla Stazione di Casal di Principe. «A volte arrivavamo con i mandati di arresto e trovavamo il vuoto: sapevano già che stavamo arrivando. Ma la nostra forza era (ed è) la rete dei presidi sul territorio: piccole caserme che garantiscono controllo e informazioni».

Nato e cresciuto a Quartucciu, Angioni si è arruolato a 14 anni alla Nunziatella, per poi passare all’Accademia di Modena e alla Scuola ufficiali di Roma: «Contro la volontà di mia madre, ero figlio unico», ammette con un sorriso. Ha vissuto una carriera «di strada», come lui stesso la definisce.

Prima in Umbria, dove ha contribuito anche alla soluzione del sequestro Bulgari–Calissoni e all’arresto dei responsabili, recuperando parte del riscatto. Poi la Campania, la Toscana, e infine il ritorno all’insegnamento, oggi come docente universitario in Umbria.

«Torno in Sardegna solo due tre volte all’anno, ma resto legatissimo alla mia terra: quella è la mia patria». Ma Aversa per lui è stata qualcosa di speciale. «La soddisfazione più grande? Aver visto che oggi quel territorio ha cambiato pelle. Allora era tutto sotto la Compagnia di Aversa, una responsabilità enorme. Ma anche un grande onore».

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