Aldo De Benedetti nacque a Roma il 13 agosto 1892 da una famiglia israelita di solide tradizioni culturali. Il nonno Cesare Donati, fu accademico della Crusca nonché sovrintendente delle Belle Arti di Firenze. Autore di romanzi e novelle, Donati frequentò il mondo intellettuale della prima Italia unita, intrattenendo un vivace epistolario con tutti i maggiori esponenti della cultura e della politica di allora. Appoggiò sin dagli esordi della carriera Giosuè Carducci e agevolò Pascoli ancora giovane ad entrare negli ambienti letterari romani.

La madre di Aldo De Benedetti, Ada Donati, tenne a Roma, per lunghi anni, un salotto letterario e fu al contempo un’apprezzata traduttrice dal tedesco, dal francese e dall’inglese. Cresciuto in ambiente così stimolante, Aldo De Benedetti cominciò inevitabilmente sin da giovane a dedicarsi alle lettere, componendo in età molto precoce due poemetti, La Signoria e Ginestrella.

Al teatro si avvicinò per la prima volta nel 1916, scrivendo assieme a Luciano Doria Colui il quale, che debuttò al Teatro Argentina nel giugno di quell’anno. Risale al 1918 la prima opera teatrale interamente scritta da De Benedetti: L’amore stanco.

Rappresentata a guerra non ancora terminata dalla compagnia di Irma Gramatica, la commedia fu accolta, sin dal suo primo apparire al Teatro Manzoni di Milano, da un caloroso successo. “I primi due atti della mia prima commedia - raccontò lo stesso autore – li ho scritti in guerra, parte fra le rovine dell’Adria Werke di Monfalcone, parte nelle tane fangose di quota 144. Alternavo il lavoro della commedia con qualche tiro delle mie bombarde e annotavo sullo stesso taccuino le battute comiche che mi venivano in mente e i dati di tiro che dovevo comunicare ai puntatori. La guerra in trincea era tragica e la commedia allegra, forse perché si rifugiava in quelle scene della mia gaiezza giovanile, che non si rassegnava ad essere sopraffatta dalla vecchiezza precoce dei bombardamenti”. Impossibilitato a presenziare al debutto milanese della propria commedia, De Benedetti si recò di nascosto alla replica a Brescia.

“Chiesi un permesso di 24 ore per assistere alla rappresentazione; il colonnello era in giro d’ispezione e al Comando non v’era nessuno che avesse facoltà di concedere permessi. Che fare? Tutto il giorno mi dibattei fra la tentazione e il dovere. Alla fine vinse la tentazione.[…]

Alle nove e mezzo ero al Teatro Sociale e ascoltavo trepidamente le parole che avevo scritto, alle quali l’impareggiabile Irma Gramatica pareva desse un’inaspettata bellezza. Il pubblico era attento e si divertiva; ma fra quel pubblico vidi con apprensione molti ufficiali superiori, e pensai che a ognuno di essi venisse in mente di chiedermi i documenti. […] In un palco vidi anche un generale. Rideva e applaudiva. Pensai con sollievo che i generali quando ridono sono meno severi. Tuttavia mi parve più prudente ascoltare la commedia in palcoscenico, nascosto dalle quinte. […] Alla fine del secondo atto, poiché il pubblico applaudiva con insistenza, Ferrero mi prese improvvisamente per un braccio e, prima che io avessi modo di reagire, mi spinse alla ribalta a ringraziare. Momento di emozione intensa. Ogni volta che il velario s’alzava udivo un rumore confuso, nella cavea oscura del teatro, dei visi che mi sembravano stranamente minacciosi. Da un momento all’altro mi aspettavo che il generale si sporgesse dal palco e per chiedermi se avevo il permesso. […] La mattina dopo partii all’alba e, in poche ore, raggiunsi la mia batteria. […] Dieci giorni dopo ricevetti la comunicazione che mi erano stati inflitti 10 giorni di arresti con relative ritenute: sono stati i miei primi diritti d’autore”.

Dopo il successo di L’amore stanco, De Benedetti tornò a scrivere alcune commedie in collaborazione, come La dama bianca e La resa di Titì (entrambe del 1931) assieme a Guglielmo Zorzi.

Con il debutto di Non ti conosco più avvenuto al Teatro Argentina di Roma il 1° aprile 1933, inizia la stagione più fortunata per De Benedetti. La commedia, portata ben due volte sullo schermo (una prima volta nel 1936 e una seconda negli anni Ottanta, con Monica Vitti, Johnny Dorelli e Luigi Proietti), riscosse un tale successo da assicurare alla Compagnia Merlini-Cimara-Tofano che l’ aveva messa in scena, una lunga serie ininterrotta di repliche.

Nel 1933 compose Milizia territoriale per Armando Falconi. Il successo ottenuto da questa commedia fu tale da spingere Antonio Gandusio a riprendere il lavoro l’anno stesso, mentre De Benedetti si impegna nella stesura di Lohengrin per la compagnia De Sica-Rissone-Tofano. Qualche anno più tardi De Sica, in ditta con Giuditta Rissone e Umberto Melnati, chiede a De Benedetti una nuova commedia per la stagione 1936. L’autore si mette immediatamente al lavoro attorno a Due dozzine di rose scarlatte, ma la sua proverbiale pigrizia finisce per allungare a dismisura i tempi di consegna del copione.

La composizione della commedia viene terminata solo pochi giorni prima del debutto, quando la compagnia, esasperata, segrega letteralmente l’autore in una stanza d’albergo, costringendolo a finire il terzo atto. Due dozzine di rose scarlatte va in scena al Teatro Argentina di Roma l’11marzo 1936, divenendo presto un “caso” nel panorama del teatro brillante italiano del Novecento: la commedia viene tradotta in trentasei lingue, rappresentata in tutto il mondo e accolta trionfalmente dalle platee più diverse. Nel 1940 la commedia conosce anche una riduzione cinematografica.

Nel 1937 Sarah Ferrati, in ditta con Armando Falconi e Nino Besozzi, rappresenta Trenta secondi d’amore, che segna per l’autore un nuovo successo.

Contemporaneamente all’attività teatrale, De Benedetti si dedica anche al cinema, scrivendo innumerevoli soggetti, sceneggiature e riduzioni da proprie commedie. Dopo un primo esordio come regista del cinema muto – diresse nel 1922 Marco Visconti, nel 1926 Anita e nel 1929 La Grazia –, ideò alcune fra le più felici sceneggiature del cosidetto “cinema dei telefoni bianchi”: da Gli uomini che mascalzoni (1932) diretto da De Sica a Milizia Territoriale, da L’uomo che sorride a Contessa di Parma.

Ormai De Benedetti è conosciuto e apprezzato in Italia e all’estero, ma ciò non impedisce che nel 1938, a seguito delle leggi razziali antisemite, l’autore venga costretto al silenzio. Obbligato all’inattività nel campo teatrale, egli continua a lavorare per il cinema grazie all’aiuto di registi come Blasetti, Camerini, Zavattini, De Sica e di produttori come Amato, che gli permettono di realizzare decine di sceneggiature, tuttavia senza che la sua firma possa comparire.

Sono sette anni di attività intensissima, dalla quale escono alcune tra le più belle sceneggiature del cinema italiano di quegli anni: Assenza ingiustificata, La casa del peccato, Maddalena, zero in condotta, Ore 9: lezione di chimica, Teresa Venerdì, Quattro passi fra le nuvole, Un garibaldino al convento, I predoni del Sahara, Fuga a due voci, Apparizione, Tutta la vita in 24 ore e molte altre.

Lo stesso ostracismo colpisce l’autore in tutti i paesi occupati dai nazisti. Radiato dai ruoli degli ufficiali in congedo, deve restituire la tessera e gli attestati del suo valoroso comportamento come volontario sul Carso. Ha la possibilità di espatriare sia a Parigi, sia a New York ma, attaccato al proprio paese preferisce rimanere in Italia. Con Lo sbaglio di essere vivo, rappresenta al Teatro Eliseo di Roma il 4 luglio 1945, De Benedetti riprende la sua attività teatrale. Si tratta di una commedia amara, nella quale l’autore denuncia la propria condizione di ebreo e le sofferenze patite durante la guerra. Fanno seguito L’armadietto cinese (1947), Gli ultimi 5 minuti (1951), Buona notte, Patrizia (1956) e Da giovedì a giovedì (1959), con le quali l’autore riacquista il proprio consueto buonumore.

Nel 1964, in occasione di una ripresa a Roma di Buona notte, Patrizia, riceve il premio quale autore italiano più rappresentato all’estero, mentre già nel 1960, per questa stessa commedia, aveva ricevuto da parte della Rai il “Premio dell’ascoltatore”.

Nel 1961 ottiene il premio dell’Istituto del Dramma Italiano, che devolve in favore della casa di riposo degli Artisti Drammatici di Bologna.

Nel dopoguerra continua intensa anche la sua attività cinematografica, con la realizzazione di svariate sceneggiature di successo. L’attività prosegue ininterrotta fino agli inizi del Sessanta.

Gli ultimi testi teatrali risalgono al 1964 (Paola e i leoni) e al 1966 (Un giorno d’aprile), ma l’impegno pubblico di De Benedetti, divenuto membro del Consiglio Internazionale Autori Opere Drammatiche, non viene meno sino agli ultimi giorni. L’autore è morto a Roma nel 1970.
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