La Sardegna del vino conferma la sua maturità. Nella Guida Vini d’Italia 2026 del Gambero Rosso, in presentazione stamattina al convention center La Nuvola, sono 72 le cantine valutate e quasi 650 i vini inseriti, contro i quasi 600 dell’edizione precedente: un buon risultato per l’Isola, che consolida così la sua presenza tra le grandi regioni del vino italiano. «Di questi, oltre 300 sono nuove valutazioni, un segnale di vitalità che racconta quanto la qualità sia ormai diffusa», spiega Giuseppe Carrus, curatore della guida. Tra le etichette in guida spiccano 17 Tre Bicchieri, lo stesso numero del 2025, e tre Vini Rari, categoria riservata alle produzioni sotto le 3.000 bottiglie annue, simbolo di progetti unici e identitari, che raccontano la storia della vigna e l’identità che il vino porta con sé. «Un vino recensito è già un vino premiato», sottolinea Carrus. «Su 600 vini assaggiati, solo la metà entra in guida e questo significa che chi c’è ha già superato un livello alto di selezione. E dei 40.000 degustati in tutta Italia, appena l’1% conquista i Tre Bicchieri: un risultato che per la Sardegna, con 17 etichette, è altissimo.

Ragionando sulle proporzioni, il successo sardo è subito evidente, per un territorio che di per sé è un già un piccolo grande continente e per questo una delle regioni italiane con maggior biodiversità. Dai 700 metri del Mandrolisai alle sabbie costiere, dai graniti della Gallura alle argille dell’Ogliastra, ogni zona imprime un carattere diverso al vino «ed è questa ricchezza – aggiunge Carrus – che oggi i produttori riescono finalmente a far emergere, con precisione e autenticità». E questo, il ricercare l’unicità e la bellezza dei territori nel bicchiere, è un po’ il fil rouge che unisce il pensiero e il lavoro del Gambero Rosso e della sua Guida, troppo spesso considerata una sorta di concorso a premi, più che una fotografia e un’analisi del settore vitivinicolo italiano. Carrus lo chiarisce con chiarezza: «Quando diciamo “eccellenza”, non parliamo solo di profumi o di sapori più intensi. Parliamo di unicità. Di vini che riescono a portare dentro la bottiglia l’essenza del territorio e della varietà da cui nascono».

La Guida 2026, infatti, vuole mettere l’accento su un un sistema che sta cambiando pelle. La qualità del vino italiano, e sardo, è ormai diffusa e trasversale, dai grandi marchi alle piccole cantine. I numeri lo dimostrano, ma più ancora lo fanno i vini: artigianali, riconoscibili, radicati. La forza della Sardegna, poi, sta nel suo equilibrio: tra cooperative storiche, grandi aziende e piccoli vignaioli. «La qualità media delle cooperative è molto alta», ricorda Carrus. «L’apripista fu Santadi, negli anni Settanta, introducendo un modello che premiava la qualità delle uve più della quantità.» Oggi quella lezione torna attuale con realtà come Santa Maria La Palma, che conquista i Tre Bicchieri con il suo Vermentino Ràfia, dimostrando che anche la cooperazione può essere sinonimo di eccellenza. Accanto ai nomi storici, infatti, come Argiolas, Sella & Mosca, Siddùra o Surrau, cresce anche una nuova generazione di produttori indipendenti che fa dell’artigianalità la propria cifra: vini precisi ma franchi, puliti e territoriali, capaci di restituire con sincerità l’identità dei luoghi.

Se la qualità c’è, resta però un nodo irrisolto: la comunicazione. «Siamo bravissimi a fare il vino, meno a comunicarlo. Il vino buono non basta: va raccontato, commercializzato, venduto. E lì pecchiamo perché mancano le sinergie». Il problema è anche istituzionale: le denominazioni d’origine, ferme a decenni fa, non raccontano più la complessità dell’Isola. «Ha senso oggi una DOC “Cannonau di Sardegna” o “Vermentino di Sardegna”? Serve una rivoluzione copernicana: una legislazione che metta in evidenza la biodiversità dei territori». Il paragone con Piemonte e Toscana è diretto: «Lì il Nebbiolo o il Sangiovese cambiano nome e identità da un territorio all’altro, e questo dà valore e riconoscibilità. Da noi, invece, tutto resta sotto un’unica etichetta: e così si trovano Cannonau a 2 euro sugli scaffali accanto a vini da 50 euro. Entrambi legittimi, ma senza strumenti per differenziarsi». La nascita del Consorzio unico dei vini di Sardegna, ad esempio,  è un passo nella giusta direzione, ma il salto di qualità «sarà possibile solo se i produttori troveranno una voce comune per valorizzare le differenze». Un’isola che produce, riflette e cresce. Dove il futuro del vino passa per la consapevolezza e per il coraggio di riformare, una volta per tutte, il proprio modo di dirsi “Sardegna”.

 

Tre Bicchieri 2026

Alghero Cabernet Marchese di Villamarina Ris. 2021 – Tenute Sella & Mosca

Cannonau di Sardegna 2023 – Antonella Corda

Cannonau di Sardegna Cl. Arbòre 2022 – Giuseppe Gabbas

Cannonau di Sardegna L’Ora Grande 2023 – La Contralta

Cannonau di Sardegna Nepente di Oliena Hospes Ris. 2022 – Iolei

Cannonau di Sardegna Perda Rubia Ris. 2022 – Tenute Perda Rubia

Cannonau di Sardegna Perdas Longas 2023 – Francesco Cadinu

Cannonau di Sardegna Tèrruas Ris. 2023 – Su’Entu

Nuracada Bovale 2022 – Audarya

Turriga 2021 – Argiolas

Vermentino di Gallura Sup. Kramori 2024 – Saraja

Vermentino di Gallura Sup. Maìa 2023 – Siddùra

Vermentino di Gallura Sup. Pitraia 2022 – Tenute Gregu

Vermentino di Gallura Sup. Sciala 2024 – Surrau

Vermentino di Gallura Sup. Sienda 2024 – Mura

Vermentino di Sardegna Ràfia 2023 – Santa Maria La Palma

Vermentino di Sardegna Tuvaoes 2024 – Giovanni Maria Cherchi

 

Vini Rari 2026

Cannonau di Sardegna Barrosu Franzisca Ris. 2022 – Giovanni Montisci

Mandrolisai Memorias Creccherie 2023 – Fradiles

Vernaccia di Oristano Antico Gregori Ris. 1991 – Attilio Contini

© Riproduzione riservata