Titti Pinna in aula: "Ho odiatoi miei rapitori ma poi li ho perdonati"
Era il giorno di Titti Pinna, nell'Aula del Tribunale di Sassari. L'allevatore di Bonorva, rapito il 19 settembre 2006 e scappato da un ovile di Sedilo il 28 maggio 2007, ha deposto al processo contro Salvatore Atzas e Natalino Barranca, i due pastori di Sedilo accusati di essere stati i suoi carcerieri. Durante l'udienza Titti Pinna ha parlato per oltre tre ore della sua lunga prigionia. "Ho odiato i miei rapitori, ma poi li ho perdonati" ha raccontato. Poi, rispondendo a una domanda del magistrato, ha racPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
"Ho odiato i miei rapitori, ma poi li ho perdonati, perché nella vita non bisogna essere egoisti e con l'odio non si va da nessuna parte". Così Giovanni Battista Pinna, l'allevatore bonorvese tenuto segregato in una cella di pietra dal 19 settembre 2006 al 28 maggio 2007, ha raccontato le sue sensazioni di oltre otto mesi di prigionia nella sua deposizione al processo contro Salvatore Atzas e Natalino Barranca, i due pastori di Sedilo accusati di essere stati i suoi carcerieri. In modo semplice e a tratti toccante, sorridendo nei momenti più intensi, con alle spalle i due imputati, Titti Pinna ha parlato per oltre tre ore della sua lunga prigionia, "coi topi che mi facevano compagnia", rinchiuso in una mangiatoia nell'ovile di Sedilo di proprietà di Salvatore Atzas. In tutto il periodo del suo sequestro, ha raccontato al presidente del tribunale Plinia Azzena è rimasto incatenato a un anello sul muro e a un rastrelliera sul soffitto, ha sempre avuto una benda sugli occhi e per la maggior parte del tempo mani e piedi legati. "Contavo e pregavo - ha detto - per far passare il tempo e tenere il conto dei giorni".
IL PRIMO GIORNO DI PRIGIONIA. Il primo giorno, ha detto Pinna, sentì nonostante i tappi nelle orecchie dei rumori assordanti e colpi di mitragliatori talmente forti, ha detto, che facevano vibrare i muri. "All'inizio - ha riferito l'ex ostaggio - non volevo mangiare, volevo morire perché era troppo dura da sopportare". Non mangiò per tre o quattro pasti, ma soprattutto all'inizio non rinunciò all'acqua, anche perché nella cella, in cui non poteva stare in piedi ma solo piegato o sdraiato nel lurido materasso dove dormiva, pioveva dentro e per questo fu colpito dalla febbre diverse volte. Diversi i custodi che gli portarono da mangiare, alcuni più giovani, altri più anziani. Tra i cibi che gli vennero portati, ricorrevano spesso pasta al burro, bastoncini di pesce e uova sode.
LA FUGA. "Se non mi prendete per pazzo vi racconto come sono fuggito: ho sentito una voce che mi ha detto che la domenica sarebbe stato il giorno buono per scappare". Titti Pinna ha finito poco dopo le 14 la sua prima giornata davanti ai giudici del Tribunale di Sassari ai quali ha raccontato la prima fase della sua prigionia, fermandosi al momento della fuga dall'ovile-prigione nelle campagne di Sedilo. "Quando mi è sembrato che fosse domenica (in realtà il 28 maggio era lunedì) con una forchetta sono riuscito ad aprire la catena con la quale ero legato - ha raccontato ancora Pinna - e ho tolto, per la prima volta in otto mesi, la benda dagli occhi. Ho spostato le balle di foraggio e ho raggiunto un edificio vicino dove c'erano operai al lavoro. Più che camminare, rotolavo". Il racconto di Pinna, l'ostaggio che ha sofferto una delle prigionie più lunghe e spietate della storia dell'Anonima sequestri in Sardegna, è stato seguito nel massimo silenzio e solo il presidente e il pubblico ministero lo hanno interrotto per fare domande o chiedergli di fare precisazioni.
LE FASI DEL RAPIMENTO. Prima di arrivare all'ovile di Sedilo, i rapitori portarono Titti Pinna in un altro ovile "intermedio", e poi in un terzo luogo da dove i banditi lo costrinsero a chiamare a casa, col suo cellulare, per chiedere trecentomila euro di riscatto. Lo ha detto stamane l'ex ostaggio durante la sua testimonianza nel processo in corso a Sassari contro Salvatore Atzas e Natalino Barranca, accusati di averlo tenuto segregato nell'ovile in uso ad Atzas per otto mesi. Dopo il prelievo da Monte Frusciu i banditi caricarono l'ostaggio, legato mani e piedi e con bocca e occhi chiusi da nastro adesivo, nel cofano della sua Fiat Punto, privato della cappelliera. Gli chiesero quale fosse la chiave dell'auto, ma stranamente, ha riferito il teste, non quella del cancello. Saliti in macchina coprirono l'ostaggio con un cartone e usciti dalla tenuta girarono a destra, ha detto Titti, in direzione di Torralba. Durante il tragitto, che è durato una decina di minuti, lui ha provato ad alzare la testa per attirare l'attenzione della strada trafficata, ma i banditi lo scoprirono e uno di loro gli ruppe il naso col calcio della pistola. Si fermarono, dopo una decina di minuti di strada scorrevole, in un ovile ("sentivo belare le pecore", ha detto). Lì venne scaricato dalla sua auto e caricato attraverso il portellone posteriore nel bagagliaio di un'altra vettura, probabilmente un fuoristrada, in cui, ha detto, "avevo l'impressione di essere rinchiuso in una cassa di legno". Da lì iniziò un nuovo viaggio, in cui, ha detto Pinna "contai fino a 1200 prima dell'arrivo". Poco oltre metà tragitto, con più curve del precedente, l'auto si fermò per far salire una nuova persona, ma il rapito ha detto di non ricordare le conversazioni dei sequestratori, anche a causa dei tappi di gomma che gli furono messi nelle orecchie. Arrivati a destinazione, i banditi comunicarono all'ostaggio di volere dei soldi per liberarlo e gli chiesero di chiamare a casa per chiedere il riscatto. Per quantificarlo, i rapitori gli chiesero quanto avesse in banca, poi formularono la richiesta di 300 mila euro. In un primo momento Pinna si oppose, ma poi si impaurì perché uno dei banditi lo minacciò di darlo in pasto ai maiali. Fu da quel luogo che Titti telefonò col suo cellulare alla sorella chiedendo il riscatto, prima di cedere il telefono a un rapitore che ribadì la richiesta, intimando alla donna di non avvertire le forze dell'ordine. Poi, l'ultimo viaggio verso l'ovile nelle campagne di Sedilo. All'arrivo l'ostaggio venne preso dai sequestratori e messo su un materasso, nella cella da cui non si mosse per otto mesi fino al giorno della sua fuga.