Non deve neppure aver letto le carte, quando ha messo la firma sulla richiesta di gratuito patrocinio, dichiarando un reddito inferiore rispetto a quello realmente percepito. Ma, se anche lo avesse fatto, non avrebbe ben compreso il meccanismo che disciplina la possibilità di beneficiare della difesa a spese dello Stato. In sintesi: non aveva la volontà di commettere il falso.

Questa tesi difensiva - sostenuta dall'avvocato Giovanni Raimondo Serra - ha prevalso in Tribunale, a Cagliari, e ha portato all'assoluzione di un agricoltore di 48 anni, di Iglesias, finito davanti al Gup Ermengarda Ferrarese (il legale ha scelto il rito abbreviato) per una vicenda del 2014. Il pubblico ministero, invece, aveva chiesto la condanna a 8 mesi.

L'uomo, all'epoca rappresentato da un altro difensore, doveva affrontare un procedimento giudiziario e aveva presentato la richiesta di gratuito patrocinio, con un'attestazione reddituale che si è rivelata non conforme a quanto realmente percepito. La somma, circa 16mila euro, era superiore ai 12mila e 402 euro che la legge stabiliva all'epoca (in riferimento all'anno precedente 2013) per poter concedere il beneficio. Non c'è dubbio che il reato ci sia stato, ma un uomo semplice e con un livello di istruzione molto basso come il suo non può averlo messo in atto con consapevolezza. Ciò ha fatto venir meno il presupposto essenziale: la volontà di commettere il reato stesso. Ovvero: è mancato il dolo.
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