Femminicidio, parla la sarda bruciata dall'ex marito: "Ecco i segnali che vi devono fare preoccupare"
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La voce squillante diventa un soffio, un attimo appena. «La storia di Sara mi ha fatto male, ho riprovato il dolore passato. È per questo che oggi voglio essere la sua voce, quella che lei non ha più e che io, viva per miracolo, sento di doverle dare». All'altro capo del telefono, Valentina Pitzalis parla dalla sua stanza d'ospedale a Milano, reduce da un intervento alla mano destra («Il quinto, o il sesto? Ho perso il conto»). Ne ha subito in tutto una trentina, finora, di operazioni chirurgiche al viso e all'unica mano rimastale. E altre ne serviranno per cercare di riparare quello che il fuoco non ha divorato del tutto. Intanto gira l'Italia per incontrare i ragazzi nelle scuole e ha scritto un libro ("Nessuno può toglierti il sorriso", Mondadori) sulla sua storia che, dice, «può servire da monito».
È una sopravvissuta. Una di quelle ragazze arrivate oltre la soglia dell'inferno, scampate alla morte solo per un soffio. Bacu Abis, Carbonia. Era la notte del 17 aprile 2011. L'ex marito, Manuel Piredda, l'attirò nella trappola dell'ultimo appuntamento a casa e tentò di ucciderla col fuoco. Lei si salvò, lui invece morì. Avevano entrambi 27 anni. Si erano sposati il 4 marzo del 2006 e separati definitivamente ad aprile 2010. In mezzo l'ossessione di un uomo e la dignità annullata di una donna. La storia sempre uguale dell'inferno delle ragazze. «È per questo che dico: ascoltate i campanelli d'allarme, parlate, denunciate. Quel che io, purtroppo, non ho fatto».
Quali sono i campanelli d'allarme a cui prestare attenzione?
«Quando lui cerca di manipolarti, esercitando su di te un controllo totale. Parlo anche di cose che possono sembrare banali e invece non lo sono: il divieto di portare i tacchi, di mettere un abitino seducente, di farsi bella per una serata. È la violenza psicologica, subdola e devastante. Vieni insultata, umiliata, azzerata, isolata. Isolarsi, è l'errore più grande. Io non avevo più amici, non potevo lavorare né studiare, mi ero annullata per lui, avevo perso il contatto con la realtà».
Se l'uomo arriva a fare questo, perché ci sono donne che lo accettano?
«Perché le donne, alcune donne, quando sono innamorate arrivano a giustificare tutto. Pensano: se avrò pazienza, cambierà. Non è così, non cambiano, anzi peggiorano. Se penso a quel tempo, alle cose che ho accettato, mi chiedo come ho fatto. Come ho potuto essere così cieca e non capire che non avrei potuto salvarlo io dai mostri che aveva dentro il cervello».
L'ultimo appuntamento è davvero l'ultimo, è l'avvertimento fatto alle donne dalle volontarie dei centri antiviolenza...
«È vero, l'invito all'ultimo incontro anche per me doveva essere la morte. Non si deve mai accettarlo. Questo significa che bisogna staccarsi davvero da uomini così, e non sentirsi cattive per questo».
L'età di chi chiede aiuto si sta abbassando. Sono sempre più giovani le donne che subiscono violenza.
«È per questo che vado a parlare nelle scuole. Incontro i ragazzi e racconto la mia storia. Dico che l'amore è rispetto, tenerezza, condivisione, confronto e crescita. Alle ragazze dico: pretendete rispetto, non permettete che si calpesti la vostra dignità. Ai ragazzi faccio notare che non è normale vedere la partner come un oggetto, una proprietà, e che l'amore non è sottomissione».
Quanto è tutelata una donna che arriva a denunciare?
«Il problema è che una non ha garanzie di tutela. Se parla, se denuncia l'aguzzino, si scontra con i tempi della legge e della burocrazia. E poi siamo sempre qui a discutere dell'ennesimo caso di femminicidio».
Lei ha sempre detto che il suo ex marito non era un mostro.
«Ha fatto un gesto mostruoso, però no, non era un mostro. Era un uomo fragile che aveva bisogno di aiuto. Io ho provato a darglielo, ma non è stato possibile. Lui era così; in altri casi invece c'è vera cattiveria. Ecco, io per questi uomini chiederei l'ergastolo».