La Camera ha approvato il disegno di legge Valditara. Passerà al Senato dopo la sessione di bilancio. L’educazione sessuo-affettiva entra così nelle scuole medie e superiori. Ma solo col consenso dei genitori. Leonardo Mendolicchio, psichiatra e psicoanalista, è uno specialista in disturbi alimentari e salute mentale degli adolescenti. Collabora con due format Rai: Storie Italiane e Fame d’amore. Apre il suo sito internet con un pensiero: «In questo tempo di grandi fragilità, io credo nell’ascolto che cura». Ecco la “sua” educazione.

Arriviamo in ritardo. E divisi.

«In questo Paese rendiamo tutto dibattito ideologico. Ci dimentichiamo che il mondo sta cambiando radicalmente. E il cambiamento va interpretato, innanzitutto da noi adulti».

Pericoli?

«Il sistema dell’informazione è complesso. Pensiamo ai social e a come trattano la sessualità. Anziché insistere sulle attività educative e pedagogiche, si dibatte sulla scuola, sul “posto”, giusto o no, dove affrontare questo tema. È assolutamente anacronistico».

Ma è naturale pensare alla scuola.

«Sì, ma dimentichiamo il cuore della questione. Dobbiamo chiederci che cosa insegnare ai nostri figli sulla sessualità e sull’affettività. Invece ci concentriamo su questioni ideologiche. La scuola non è l’unico focus, così non stiamo affrontando i contenuti».

La politica non ce l’ha fatta: 34 proposte di legge, nell’80 ci ha provato anche Tina Anselmi. Cattolica, ex partigiana, primo ministro donna. Curioso?

«Era un altro Paese, con presupposti culturali totalmente diversi da oggi. Politici di quel livello puntavano a fare passi avanti proprio in direzione della crescita culturale».

Ecco, crescita. I ragazzi raccontano che in famiglia il tema resta un tabù.

«Non sono temi facili, quel tabù è quasi naturale. L’emergenza sta nell’accessibilità ai contenuti sessuali. I ragazzi di 14, 15 anni hanno tutto in un click. Capisco le difficoltà dei genitori, ma rispetto a quel tabù non devono nascondersi. Parlo da psicanalista: hanno il dovere di affrontarlo e di essere preparati».

Mica poco.

«È molto importante aiutare i genitori. Ha ricordato Tina Anselmi. Il tema della sessualità era il tema del bene pubblico, della crescita sana. Un principio molto superiore rispetto al tema ideologico. Forse la classe politica di oggi fa fatica a individuare le priorità. Il futuro del nostro Paese sono i nostri figli, non le questioni partitiche»

Cedo all’ovvio. La Svezia, 70 anni di educazione sessuale. Oggi è il Paese con la maggiore parità di genere.

«È un tasto dolente. Da noi in Italia c’è un metodo vecchio per affrontare temi nuovi. Parcellizziamo per singoli segmenti. È giusto combattere la violenza di genere, educando alla sessualità. Mapoi c’è anche il resto, che non è scollegato. E così poco importa se una donna entra nel mercato del lavoro con il 30 per cento in meno di capacità economica rispetto a un suo pari grado di sesso diverso. Non ci occupiamo del gender gap, delle discriminazioni sociali».

Quindi una visione limitata.

«Dobbiamo impegnarci tutti per una coerenza culturale, sociale, politica ed economica molto più ampia. I modelli che funzionano non sono quelli che dibattono su “educazione sì, educazione no”. Sono quelli sociali, e sottolineo sociali, che si basano su un modello politico che crea un contesto di rispetto».

Siamo già oltre.

«Attenzione a tutte le disparità e le diseguaglianze. Possiamo fare i corsi migliori sull’educazione affettiva, ma non avranno effetto se non si risolve la discriminazione».

Legge Valditara, domanda scontata. A che età serve l’educazione sessuo-affettiva?

«Domanda difficile, il punto è fondamentale. Siamo sinceri: i nostri ragazzi a 9, 10 anni entrano in contatto con contenuti di natura sessuale. Mettiamoci allora in un’ottica di protezione. Offriamo contenuti seri, sani, legittimi. Abbiamo un antagonista, non un nemico, che si chiama digitale e che di fatto non governiamo. Dobbiamo essere attrezzati per il confronto, anche quando i nostri figli sono nella preadolescenza. Può essere utile e importante».

Nicola Scano

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