Drammatica testimonianza nei giorni scorsi in tribunale a Sassari. È la presunta vittima sassarese di una violenza sessuale a raccontare quel che le sarebbe accaduto, facendo anche luce su uno scenario di degrado ed emarginazione perlopiù sconosciuto.

«Vivevo nel 2017», riferisce la donna davanti al collegio presieduto da Monia Adami, a latere Valentina Nuvoli e Paolo Bulla, «in una tenda nel deposito di via XXV aprile con il mio compagno e un'amica».

Un'area a due passi dalla stazione dove trovano dimora persone senza un tetto sopra la testa e prive di servizi essenziali. I tre sono poco lontani e l'amica chiede alla parte offesa nel processo di prenderle la borsa lasciata nella tenda. «Erano le 3 di notte. Quando sono arrivata è spuntata questa persona. Mi ha detto: Ciao sorella, cosa vuoi che ti faccia?».

A quel punto la donna, rispondendo alle domande del pm Angelo Beccu, ricorda l'episodio. «Mi ha strappato la maglietta buttandomi a terra, toccandomi il seno e le gambe». La supposta violenza non va fino in fondo per la reazione della donna, questa la sua versione, che riesce a scappare. «Lui però mi ha lanciato delle pietre contro. Ero piena di lividi».

Poi la denuncia immediata e il viaggio verso il pronto soccorso dove viene curata. «Avevo un grosso ematoma in testa dovuto a come mi aveva fatto cadere», ricorda lungo una audizione interrotta più volte per lo stato emotivo della teste.

Il presunto autore della violenza sarebbe un ivoriano, presente in aula, e difeso dall'avvocato Raffaele Rocco. Proprio il legale ha trovato non credibile il resoconto della donna. Il processo è stato rinviato a dicembre. 

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