Paride Meloni, l’operaio morto nelle cantine Delogu: definitiva la condanna per il datore di lavoro
Un anno per omicidio colposo, il lavoratore rimase incastrato con la testa nel boccaporto e fu soffocato dai gas di fermentazione del mostoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Condannato anche in Cassazione Piero Delogu, giudicato responsabile di omicidio colposo per la morte di Paride Meloni, deceduto l’8 novembre del 2017 nelle Cantine Delogu, a pochi km da Alghero.
L’uomo, operaio agricolo specializzato, era rimasto incastrato con la testa nel boccaporto durante la manutenzione di un vaso vinario, venendo soffocato dai gas di fermentazione del mosto. Un’agonia lunga due minuti per il 46enne come riportato dal video registrato sul luogo di lavoro il giorno della tragedia.
In primo grado Delogu, titolare dell’attività, era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Il pm Angelo Beccu aveva però impugnato la sentenza in Corte d’Appello sostenendo due fattori come prova delle accuse. Il primo era legato al cosiddetto “lavoro in quota” che, a detta del magistrato, andava riformulato rispetto al primo processo. Infatti, riferiva Beccu, si considera tale quello che avviene a oltre due metri da un piano stabile, specificando che quest’ultimo è il terreno sottostante e non il piano di calpestio del lavoratore. E questo sarebbe stato proprio il caso di Meloni.
Il secondo fattore si connette a quanto prescritto dal Documento di Valutazione dei Rischi lì dove si precisa che, in questi casi, per scongiurare la caduta dall’alto, fosse sempre attivo il collegamento con persone presenti all’esterno in grado di intervenire prontamente in caso di emergenza. Il DVR dispone quindi che “l’attività in quota non può essere eseguita in solitudine”.
In secondo grado il collegio aveva rimarcato come l’assenza di cautele, la presenza cioè di un’altra persona sul luogo di lavoro, abbia concorso al decesso di Meloni che, come scritto all’inizio, era morto dopo almeno due minuti in cui aveva cercato di divincolarsi dalla trappola del boccaporto. Un tempo ritenuto adeguato per venire salvato da un lavoratore, qualora fosse stato presente.
La Corte aveva disposto un anno di reclusione con sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna, decidendo anche un risarcimento per le parti civili rappresentate dall’avvocata Maria Giovanna Marras. Il 4 novembre la suprema Corte ha rigettato il ricorso della difesa dell’imputato, rappresentata dai legali Pantaleo Mercurio e Nicola Lucchi, confermando quanto stabilito in Appello.
