Un'auto blu con a bordo l'arcivescovo che si allontana e i fedeli che la rincorrono per qualche metro, che fischiano e urlano «vergogna», «buffone», «vada via». È finita così, con una contestazione che ha pochi precedenti, l'assemblea che ieri sera, nella chiesa di Sant'Eulalia, ha contrapposto l'arcivescovo Giuseppe Mani a circa cinquecento parrocchiani. Che lo avevano invitato perché giustificasse il trasferimento del loro parroco-istituzione, don Mario Cugusi, dopo trent'anni di apostolato alla Marina.

IL CASUS BELLI A scatenare la rabbia dei fedeli è stata un'affermazione dell'arcivescovo che mentre dal pulpito tentava di spiegare, in un clima di tensione crescente, le ragioni per cui don Cugusi veniva trasferito, ha pronunciato una frase che ha avuto l'effetto di una deflagrazione: «Questa non è una chiesa, è una baracca». A quel punto c'è stato il caos. Mentre tra i banchi la gente urlava «lei è un eretico», «il nostro parroco non si caccia così», l'arcivescovo è stato circondato da una decina di parrocchiani che gli chiedevano conto di quell'affermazione. «Lei ha offeso la nostra comunità e tutti i sardi, un vescovo non può esprimersi in questo modo nei confronti dei fedeli». La tensione è salita al punto che Mani si è allontanato verso la sacrestia. Inseguito da un gruppo di fedeli, tra cui l'antropologo Bachisio Bandinu, che l'ha invitato a giustificare quella frase ed a riprendere il dialogo. «Lei è venuto qui anche per ascoltare, andiamo in un'altra sala e ci ascolti, se vuole parlo solo io a nome dei parrocchiani». Mani ha ribadito di non gradire quel tipo di clima. «Avrei voluto comunicare la mia decisione al consiglio pastorale», ha ribadito, «così non si può dialogare». Nel frattempo altre persone molto agitate lo invitavano ad andare via dalla Sardegna. «Lei è un generale, sa solo imporre», gli ha detto Bandinu. Poi l'arcivescovo, seguito dai fedeli, si è diretto verso l'uscita e verso l'auto che lo aspettava. Anche fuori c'è stato un tentativo di ripresa del confronto, l'ennesimo invito a rientrare e parlare con la gente. Ma Mani è stato irremovibile e alle 21,30, mezz'ora dopo l'inizio dell'assemblea, è salito in auto e si è allontanato.

CLIMA TESO Che il clima non fosse esattamente favorevole si era capito dall'inizio. Anzi dai giorni scorsi, quando nel rione si era diffusa la notizia del trasferimento del parroco, comunicata mercoledì dall'arcivescovo al diretto interessato. Tra le vecchie case, nella piazza, su Facebook, è stata subito mobilitazione.

Fin dalle 20 nel campo di basket dell'oratorio c'erano centinaia di persone e una rappresentanza politica: i democratici Emanuele Sanna, Angela Quaquero, Gian Mario Selis, il socialista Francesco Ballero. In minoranza il Riformatore Pierpaolo Vargiu. Tra i parrocchiani Salvatore Cubeddu, Cristina Alziator e Bandinu e lo storico Paolo Fadda, decano del consiglio pastorale, incaricato di leggere un documento della comunità.

PRIMI SEGNALI I primi segnali di nervosismo sono emersi quando don Cugusi ha comunicato che l'arcivescovo attendeva in chiesa e che l'incontro si sarebbe dovuto tenere lì. Molti si sono opposti: «Venga lui qui, sia umile una volta tanto». Ma Mani è stato irremovibile. Il folto gruppo si è trasferito allora in chiesa dove Fadda ha letto il documento. Ha parlato di decisione «lacerante», di «grande sconforto» prima di spiegare che è stato don Mario l'artefice della «grande impresa» che ha fatto sì che Sant'Eulalia diventasse il centro organizzatore di un'identità religiosa, il motore di un'aggregazione sociale, il fulcro di una mobilitazione culturale. L'impresa di formazione religiosa è in corso e richiede una guida sicura», ha aggiunto lo storico, «e l'assenza di don Mario bloccherebbe molte iniziative, sarebbe un dramma, la comunità ne avrebbe un danno irreparabile e protesterebbe».

L'ARCIVESCOVO Dopo un padre Nostro, un'Ave Maria e un Gloria, Mani ha preso la parola. Ha spiegato che avrebbe voluto comunicare, come da prassi, la notizia del trasferimento del parroco al consiglio pastorale e poi ai fedeli durante una messa, ma che non è stato possibile perché la notizia è stata diffusa strumentalmente sulla stampa. «È un fatto gravissimo», ha ripetuto più volte. Poi ha ricordato che il prete «è uno strumento di Cristo ed è legato all'obbedienza». A quel punto c'è stato il primo accenno di contestazione, sedato da Fadda. «se mi fate finire bene, altrimenti quest'assemblea finisce qui». Quando ha ripreso a parlare ha sottolineato più volte un altro concetto: «Nessuno ha grazia per tutti» prima di chiarire il motivo del trasferimento: «Don Mario è qui da trent'anni e doveva starci per nove». Lo ripete più volte, l'arcivescovo, sottolineando con toni di voce più alti «nove» e «trenta», cioè il contrasto. «Ho spiegato a Mario che ha ancora 15 anni di percorso sacerdotale e che è bene che lo faccia in un altra parrocchia, più vasta». Poi, premettendo che è stato costretto a farlo «prima di comunicarlo agli interessati» a causa della fuga di notizie, ha annunciato il nome del successore: Marco Lai, parroco di Sant'Elia e direttore della Caritas diocesana. A Sant'Elia, ha aggiunto, andrà don Paolo Corgiolu, parroco di Siurgus Donigala». E don Cugusi? «Ha chiesto una pausa di riflessione». Il brusio è tornato in chiesa. «Don Mario non è l'unico prete bravo, ci sono Ettore Cannavera, Paolo Follesa e altri e non vorrei che pensaste che solo Mario ama la chiesa e io la odio». L'affermazione solleva la temperatura, scatena commenti. Segue la frase che accende lo scontro: «Questa non è una chiesa, è una baracca».

FABIO MANCA
© Riproduzione riservata