Miniere, affari australiani & montagne rosse
Il piano australiano per recuperare piombo e zinco resta in un cassetto nonostante il grande potenziale
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Quando li ha visti in faccia li ha riconosciuti senza indugio. Proprio loro, gli australiani di Furtei. Quelli del cianuro a manetta, dilapidato senza remore pur di strappare lingotti d’oro alle viscere di Monte Miali, tra la Marmilla e il Campidano. Il racconto a distanza di dieci anni è concitato e ancora incredulo. Rivedere gli stessi cercatori d’oro in terra d’Iglesias, armati di sonde e trivelle, armeggiando tra Campo Pisano e Monteponi, è stato come ripiombare di colpo nel disastro impunito della miniera di Furtei. Lui, Franco Sanna, analista chimico minerario, figlio di quella terza generazione di minatori che amano la propria terra, conosceva per filo e per segno quel che era successo nelle cime di Monte Miali. Esperto “cianurista”, sapeva che trattare la polvere di quella montagna con quella sostanza micidiale era come passeggiare su un cavo sospeso in aria ad alta quota. Bastava un non nulla per inquinare di tutto e di più. Eppure, i signori venuti dalla terra dei canguri, non si sono posti alcun problema. Quantità infinite di cianuro, pur di rapinare a quelle pietre ogni oncia d’oro nascosta nelle molecole più recondite.
“Ad Metalla”
E’ stato lui ad “accoglierli” nel cantiere di Campo Pisano, alla periferia dell’antica Villa Ecclesiae. Quando percepisce la missione degli uomini giunti da Perth sino ad Iglesias non crede alle sue orecchie. I signori del più devastante Klondike sardo della storia mineraria dell’Isola erano giunti sino alla terra di “Ad Metalla” per scandagliare le dighe di sterili che circondano tutte le aree minerarie metallifere della Sardegna, da Monteponi a San Giovanni Miniera, da Masua a Buggerru, da Montevecchio a Ingurtosu. Loro, però, a differenza del gergo comune, quelle “montagne rosse” non le chiamano “dighe di sterili”. Per i “canguriman” venuti da lontano sono, invece, giacimenti minerari veri e propri. In realtà, Franco Sanna e qualche altro strettissimo operatore di laboratorio, già lo sapevano. In quelle montagne di materiale di scarto, fanghi di trattamento minerario, accumulati in due secoli di estrazioni minerarie, c’erano quasi più metalli, piombo e zinco soprattutto, di quanto non ne fossero stati estratti dal sottosuolo. In sostanza, gli impianti di flottazione, quelli utilizzati per estrarre i metalli, sia per la tecnologia non evoluta che per scelte suicide, non riuscivano a estrapolare tutte le molecole di metalli contenute in quelle pietre minerali. Il risultato era conseguente: in quei ciclopici cumuli di fanghi, posizionati tra le montagne, si addensavano quantità immense di metalli destinati ad essere dilavati nel tempo, inquinando e devastando ulteriormente il territorio. Loro, Franco Sanna e i tecnici di miniera, lo avevano detto e scritto. I vertici della società, prima Eni e poi Regione, gli risposero di farsi gli affari loro. In realtà, le autorizzazioni rilasciate dallo stesso palazzo regionale di viale Trento ai cercatori d’oro della King Rose Mining, era il 2011, avevano confermato che le istituzioni preferivano affidare il piano agli australiani piuttosto che ai tecnici sardi.
Canguri “francescani”
Del resto lo spirito degli australiani non era certo “francescano” e, tantomeno, pensavano di porre “penitente” rimedio al disastro di Furtei. L’obiettivo era chiaro: verificare quanto piombo, zinco e argento fosse contenuto in quelle, erroneamente, definite “dighe sterili”. Il risultato fu talmente sconvolgente che, alla pari di Furtei, gli australiani volevano subito passare all’incasso. E l’Igea, il braccio minerario della Regione, non ci pensò due volte ad affidare il mandato esplorativo agli stessi che avevano appena devastato Furtei senza pagare alcun pegno. Da Sardinia Gold Mining a King Rose Mining il passo fu breve. Il capo dell’uno e dell’altra società era sempre lui, John Christofer Morris, prima capo assoluto di Furtei e poi numero uno del board della King Rose.E’ lui che agisce con i metodi finanziari spregiudicati del mordi e fuggi. In quattro e quattr’otto, con in mano quel foglietto firmato dalla Regione, trivella e campiona ovunque: Campo Pisano e Monteponi, Masua e Nebida, Ingurtosu e Montevecchio, Buggerru e Fluminimaggiore. Venti dighe di sterili in tutto, sufficienti per capire che là dentro c’è un tesoro. Quando il report è pronto, prima lo manda alla Borsa dei metalli di Londra e poi, senza troppa fretta, lo consegna alla Regione. In viale Trento non trattano la materia, se ne fregano e lasciano fare Morris e company. Lui, il canguro che salta da Furtei a Monteponi, raggiunge la city londinese con un dossier blindato. I messaggi alle finanze mondiali della metallurgia sono cifrati.
Dossier Sardegna
Quando a Londra arriva il dossier Sardegna i sussulti si fanno sentire. A presentarlo è la King Rose Mining. Manco a dirlo sono gli australiani di Furtei sotto mentite spoglie. A firmare il report riservatissimo è John Morris. Da direttore della Miniera di Furtei a capo della nuova compagine australiana. Nonostante il disastro di Furtei qualcuno gli ha concesso di sondare proprio le miniere sarde di piombo e zinco. In quelle carte segrete, di cui siamo in possesso, c’è disegnata una vera e propria scalata alle bonifiche minerarie della Sardegna.
L’assalto in Borsa
Un assalto in piena regola messo a punto in ogni dettaglio con tanto di comunicazioni formali alla Borsa dei Metalli di Londra attraverso le trimestrali della neonata King Rose Mining, gestita dagli stessi che rasero al suolo e inquinarono Furtei e dintorni. La formula utilizzata per far proprio quel giacimento a cielo aperto è messa nero su bianco nella comunicazione ai mercati internazionali: “Grazie ai forti rapporti con le istituzioni sarde siamo lieti di annunciare che sfrutteremo tutte le aree minerarie della Sardegna”. Mr. Morris si è, di fatto, candidato a gestire, d’intesa con la Regione Sardegna, il progetto per la separazione dei metalli pesanti contenuti nelle discariche delle aree minerarie della Sardegna. Un piano tenuto segreto e giocato nelle borse internazionali dei metalli. In tutto 100 milioni di metri cubi di cosiddetti sterili, in realtà scarti di lavorazione pieni di metalli, a partire da piombo e zinco. L’annuncio alla Borsa è esplicito: «Gli amministratori di King Rose Mining sono lieti di annunciare che l’azienda inizierà il lavoro di prefattibilità su un potenziale molto grande di sterili. Un progetto di ritrattamento di uno dei più grandi quartieri minerari in Europa. King Rose ha raggiunto in linea di principio un accordo con il governo regionale di Sardegna, Italia, per iniziare il lavoro su più depositi di sterili, zinco e piombo, contenenti tra 70-90 milioni di tonnellate di materiale accumunato da oltre 200 anni di attività mineraria». Le note ufficiali depositate a Londra, mandate in onda venerdì sera da “Top Secret”, la trasmissione d’inchiesta di Videolina, parlano esplicitamente del progetto “Sarinc”.
La mappa del tesoro
La mappa depositata è esplicita. I risultati sono una bomba finanziaria. In quelle montagne di sterili di miniera si stimano, secondo il piano australiano, 89,2 milioni di tonnellate di materiale con tenori di 2,07% di zinco e 0,56% di piombo. Traducono: quei cumuli di polvere contengono oltre 1,8 milioni di tonnellate di zinco e quasi 500.000 tonnellate di piombo. Dentro quelle montagne di fanghi, secondo gli australiani, ci sarebbero quantitativi di piombo e zinco per oltre 3 miliardi e mezzo di euro. L'annuncio alla Borsa londinese fu esplicito: «Gli amministratori di King Rose Mining sono lieti di annunciare che l'azienda inizierà il lavoro di prefattibilità su un potenziale molto grande di sterili. Un progetto di ritrattamento di uno dei più grandi quartieri minerari d'Europa». Il progetto fa balzare le quotazioni della società in borsa. Morris che trattava con la Regione, come se tutti avessero dimenticato il disastro di Furtei, viene scoperto e scappa di tutta fretta verso altri lidi.
La fuga e la speranza
La fuga dei predatori australiani non cancella, però, quella straordinaria potenzialità nascosta in quelle dighe di sterili. Quelle montagne rosse, grigie o nere, sono piene di metalli. Oggi sono una bomba ecologica. Inquinano ovunque. I dilavamenti dei veleni a valle sono un disastro senza fine. L'Eni si è guardato bene dall'occuparsi di ripristino ambientale e mai ha pensato a quel grande potenziale racchiuso in quelle montagne di fanghi. Ora il tutto è nelle mani della Regione e quelle bombe inquinanti possono trasformarsi in un grande potenziale. Anziché inquinanti possono diventare ricchi giacimenti di minerali, con un triplice vantaggio: sono a portata di mano e non vanno estratti a 400 metri sottoterra, si eliminano grandi cumuli di veleni, si guadagna estraendo preziosi metalli. E quei tre miliardi e mezzo di euro di piombo e zinco racchiusi dentro quelle discariche potrebbero diventare fondamentali per risanare e rilanciare quei territori. Senza aspettare altri australiani.
Mauro Pili