Un viaggio verso Oristano durante il quale la morte l’ha sfiorato. Un’auto è piombata a folle velocità su quella sulla quale viaggiava con la compagna, da Abbasanta verso il capoluogo. Il suo veicolo si è accartocciato, distrutto: lui è stato trasportato in ospedale, in gravi condizioni. E ora, a quasi un mese di distanza da quel terribile schianto sulla 131, che poteva costargli la vita, Guido Di Gennario Majone – così il suo profilo Facebook – ha deciso di raccontare cosa è successo quella mattina di pioggia, il 10 settembre, e nei giorni successivi.  

Mercoledì 10 settembre stavamo andando ad Oristano, avevamo due appuntamenti. Aveva piovuto tutta la notte e ancora pioveva. Ci siamo immessi sulla 131, la visibilità era molto scarsa, ho pensato che avremmo fatto tardi, si doveva procedere piano e con prudenza, sicuramente non più di 80 km/h.

Abbiamo oltrepassato l’immissione della 131 da Nuoro, abbiamo superato l’Autogrill. Tenevo d’occhio la strada davanti e quella dietro con lo specchietto. Libero davanti e libero dietro. All’uscita del curvone ho visto macchine davanti che si muovevano lentamente, forse qualcuna era ferma. Ho ridotto la velocità, dagli 80 sono sceso a 60, forse 50.

In quel momento si è scatenato l’inferno e la mia memoria, da quel momento, ha cancellato tutto, forse quello che è successo è rimasto nel mio inconscio.

Un Mercedes, senza che potessi vederlo, è apparso dietro, sicuramente procedeva a oltre 180 km/h, lo spingeva a quella pazzesca velocità un folle, o un criminale, o entrambe le cose -fate voi- senza avere in alcuna considerazione la vita di chi si trovava su quella strada.

Il  Mercedes è entrato nella nostra Lancia Lybra Station Wagon, una macchina lunga, pesante e robusta, e l’ha aperta in due come fosse un panetto di burro.

La Lybra è schizzata in avanti e ha ruotato su se stessa, e quando si è fermata era in posizione contromano sulla destra della carreggiata.

Solo una Mano Potente ci ha tenuti vivi in questo mondo. E un altro miracolo c’è stato per Patricia: per la sua patologia e per i farmaci che ancora prende ha una fragilità ossea estrema, eppure non ha riportato fratture.

Ci sono volute oltre due ore perché fossimo estratti dai rottami e fossimo portati al pronto soccorso del San Martino.

Io sono stato ricoverato per 15 giorni, frattura della colonna, commozione cerebrale con versamento, costole fratturate, spalla sinistra fratturata, tagli e contusioni in tutto il corpo. Patricia, invece, “solo” commozione cerebrale, contusione pesante al volto, ferita profonda sulla testa, contusioni in varie parti del corpo, rigidità muscolare.

Nel periodo del mio ricovero, Patricia, nonostante avesse bisogno di assoluto riposo, è venuta ad aiutarmi in ospedale tutti i giorni prendendo il treno, dimostrandomi un grandissimo amore.

La mia reazione a questa tragedia è stata solo tristezza: la tristezza che una persona, senza nessun rispetto per la vita di chi si trovava su quella strada, ha spinto volontariamente l’acceleratore, ben sapendo che a quella folle velocità avrebbe provocato l’incidente; e dopo, altra cosa triste, non ci ha cercati almeno per sapere se eravamo vivi o morti dopo quello che aveva causato.

Ora siamo a casa, ma dopo quasi un mese ancora abbiamo fortissimi mal di testa e un senso di profonda stanchezza. Io posso sedermi o alzarmi solo con l’uso di un busto e i movimenti sono limitatissimi. Abbiamo bisogno di silenzio, tranquillità, riposo.

(Unioneonline/E.Fr.)

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