Cherchi era accusato di aver ucciso nel suo appartamento, l'8 aprile 2010, gli albanesi Gazmen Peka e Kasem Memaj e di aver ferito una loro connazionale, Arianna Zelo, compagna di Peka. La sentenza dei giudici di secondo grado - presidente Mariano Brianda - ricalca quella pronunciata il 19 aprile di un anno fa dal Gup di Tempio Pausania, Alessandro Di Giacomo. Le argomentazioni della difesa - gli avvocati Mario Lai e Pietro Cherchi - non hanno convinto la Corte d'Assise di appello: secondo i legali, Nino Cherchi avrebbe sparato per legittima difesa dopo essere stato attirato in casa e aggredito dai tre albanesi. Secondo l'accusa, invece, l'ex bandito avrebbe ucciso perché le vittime erano in ritardo nel pagamento dell'affitto. "Aspetteremo la deposizione della sentenza e impugneremo il provvedimento in Cassazione", ha annunciato l'avvocato Pietro Cherchi. I difensori avevano insistito molto sulla nuova vita olbiese di Nino Cherchi, ex primula rossa del banditismo sardo ma da decenni tranquillo e riservato, dedito ai figli e alla moglie malata. Malato e sofferente lui stesso, con una provata cardiopatia. Negli ultimi tempi aveva subito minacce e intimidazioni (regolarmente denunciate) e la vita gli aveva insegnato a essere diffidente anche nei confronti di quelle persone cui aveva ceduto in affitto parte della sua casa.
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