Nuoro, i rapitori scrivono dal carcere:"Eravamo disperati, chiediamo scusa"
L'idea era quella di scrivere una lettera, ma i tempi delle poste non coincidono con quelli dei sentimenti. E per questo Giacinto e Michele Costa hanno affidato il messaggio al loro avvocato: «A Marcella, ma anche al marito Tonino e ai loro figli, chiediamo scusa. Abbiamo fatto una follia, un atto gravissimo, ce ne siamo resi conto quando ci siamo trovati in cella. Chiediamo perdono anche ai nostri genitori che stanno soffrendo e a tutto il paese, infangato da quello che abbiamo combinato».Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
IL MESSAGGIO Parole senza precedenti nella lunga storia dei sequestri sardi. Ma non c'è da stupirsi: si era capito già lunedì notte che i gemelli di Tanaunella non erano rapitori alla vecchia maniera. Né ben organizzati né determinati al punto giusto. Talmente sprovveduti da commettere un errore che è costato loro le manette: quello di continuare a circolare con l'auto dell'ostaggio anche dopo averlo rinchiuso in un'improbabile prigione. «Volevamo riportare la macchina a casa di Marcella - hanno raccontato dal carcere, di fronte al giudice, Michele e Giacinto Costa - Non ci serviva, volevamo restituirla al marito». E invece, nella strada tra Li Iti e Maiorca, c'è stato l'imprevisto: l'incontro con Emanuel, il figlio di Marcella Pau, che aveva iniziato le ricerche prima ancora che in zona arrivassero le pattuglie dei carabinieri.
IL RACCONTO L'imboscata di lunedì sera non era stata neppure organizzata nel dettaglio. Nel senso che i rapitori - così almeno raccontano i fratelli Costa - non avevano ideato un piano preciso. L'idea di catturare e imprigionare la moglie di Tonino Braccu, conosciuto in Gallura e in Baronia come un imprenditore benestante, è saltata fuori durante una chiacchierata sul divano di casa. Mentre Michele e Giacinto si confrontavano, per l'ennesima volta, sulle difficoltà economiche diventate insopportabili: l'uno da tempo disoccupato e l'altro titolare di una marmeria con i macchinari fermi. «Eravamo disperati, al punto da non avere neanche i soldi per dare da mangiare ai nostri figli - hanno giurato di fronte al Gip - Non sapevamo cosa fare per riuscire a superare questa situazione e così ci è venuto in mente di organizzare il sequestro». Con questa affermazione, Michele e Giacinto Costa tentano di convincere gli investigatori di aver fatto tutto da soli. Ma la teoria, a dire il vero, appare poco credibile ai carabinieri. «Io sono convinto che non stanno mentendo - confessa l'avvocato Antonio Iozza - Se le indagini permetteranno di accertare che il rapimento era stato preparato insieme ad altre persone, io lascerò l'incarico: non difenderò più i gemelli, perché mi hanno giurato di non mentire». I magistrati della Dda di Cagliari, che si stanno occupando del caso insieme ai carabinieri della compagnia di Siniscola, puntano comunque a stringere le manette ad altre persone.
IL RISCATTO Una cifra da chiedere a Tonino Braccu, per liberare la moglie, Giacinto e Michele Costa non l'avevano neppure ipotizzata. «Ci saremmo accontentati di qualunque somma, proprio perché eravamo senza un euro in tasca. Avevamo bisogno urgente di soldi, non riuscivamo più a vivere». Michele, l'ex marmista, non aveva neppure il necessario per pagare gli omogeneizzati per il bambino di dieci mesi: «Quelli che hanno sequestro a casa mia li avevo comprati per lui e non per nutrire l'ostaggio. Non li avevo ancora pagati: alla signora del market devo quasi duecento euro. Non sapevo come fare». E la scelta dell'ostaggio? Come mai proprio Marcella Pau, la donna che a Michele aveva prestato cinquanta euro per pagare i pasticcini il giorno della nascita del figlio? «Conoscevamo i suoi spostamenti, eravamo certi che sarebbe tornata a casa dopo la chiusura del negozio - hanno detto i due fratelli al giudice - Non abbiamo neanche fatto un sopralluogo nei giorni precedenti. E comunque non le avremmo fatto del male: pensavamo di rilasciarla nel giro di poco tempo». Eppure, prima che i Cacciatori di Sardegna sfondassero la porta di quella casa-prigione, la donna era stata legata a una catena. Mica un trattamento da signora.
LA CONFESSIONE È tutta la verità, insomma, quella che raccontano i gemelli? Oppure hanno deciso di caricarsi sulle spalle anche le colpe di altri? Come mai? Temono forse che fuori dal carcere qualcuno possa fare del male ai loro familiari? Magari agli anziani genitori, che proprio ieri dalle colonne de L'Unione Sarda chiedevano ai figli di pentirsi e di svelare i misteri di questa storia. Tziu Giovannino, il padre ottantenne di Giacinto e Michele, oltre che infuriato e prostrato dalla vergogna, ha una sola convinzione: «I miei figli non possono aver fatto tutto da soli. Insieme a loro c'era qualche altra persona miserabile».
LE INDAGINI In caserma, a Budoni, si continua a parlare di una banda. Le indiscrezioni sono pochissime, anche se l'ipotesi che resiste è quella del coinvolgimento di altri tre giovani. Il blitz a casa della famiglia Braccu, insomma, sarebbe stato progettato da cinque persone: in tre (i gemelli e un altro ragazzo) erano stati incaricati di attendere l'arrivo di Marcella Pau davanti alla villa di Maiorca, mentre gli altri due dovevano pedinare il marito. Tonino Braccu si è reso conto, lunedì sera, di avere alle spalle qualcuno che teneva d'occhio i suoi spostamenti. Ma solo quando ha ricevuto la chiamata della figlia, disperata per il blitz dei rapitori, ha capito tutto. La versione dei gemelli, comunque, si scontra con un altro particolare raccolto dagli investigatori: Marcella Pau ha raccontato ai carabinieri di aver avuto a che fare, durante le tre ore di prigionia, con tre persone. Chi erano gli altri? I sospettati della prima ora?