Moria di cozze per il gran caldoDanni per alcuni milioni di euro
Troppo caldo, il mare ha raggiunto i 28 gradi di temperatura e tutte le cozze del golfo sono morte. Un danno economico rilevante per le 14 aziende del settore che è stato calcolato intorno a quattro cinque milioni di euro. Chiesti aiuti alla RegionePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Migliaia di quintali di pregiate cozze olbiesi bollite in mare. Cotte ancor prima di essere pescate. Colpa dell'eccezionale ondata di caldo che nei giorni scorsi ha fatto salire a oltre 28 gradi la temperatura delle acque del golfo. Il risultato è devastante: i mitili sono morti nelle “calze” dei filari e i danni non sono stati ancora quantificati, ma si parla di alcuni milioni di euro. Qualche cozza è sopravissuta e sono quelle che si trovano nei piatti degli estimatori. Tutte le aziende sono state coinvolte, chi più, chi meno, dalla moria dei mitili e il Consorzio per la valorizzazione della cozza olbiese si è immediatamente rivolto al Comune e alla Regione per chiedere il riconoscimento dello stato di calamità naturale.
Il sindaco Gianni Giovannelli e la giunta si sono messi in moto subito e hanno inoltrato le richieste sia alla Asl per certificare i danni, sia alla Regione per ottenere i fondi europei messi a disposizione per fronteggiare i disastri naturali. Sulla cozza si basa una discreta fetta dell'economia olbiese: il Consorzio comprende tutte le aziende attive nel settore, in totale 14, e calcola la sua produzione annuale in 40, 50 mila quintali, per un valore commerciale di oltre 10 milioni di euro. C'è un precedente storico non troppo lontano nel tempo: durante l'estate più calda di sempre, quella del 2003, le acque del mare arrivarono a toccare i 32 gradi e un quarto della produzione totale - oltre 8 mila quintali - andò perduto. La Asl ha confermato che la causa della moria è legata al mare bollente, adesso la politica dovrà intervenire rapidamente per rimborsare i cozzari scottati.
Il presidente del Consorzio, Raffaele Bigi, ha dichiarato: «Non siamo ancora in grado di quantificare i danni. Sappiamo che sono andati a male migliaia di quintali, milioni di euro, mesi e mesi di lavoro. Il colpo è stato davvero molto duro. Tuttavia dovremo attendere per conoscere l'esatta entità del disastro. In questo momento stiamo cercando di salvare il salvabile. Si tratta di stabilire quanti filari c'erano per ciascuna azienda, e quante cozze sono sopravissute all'interno di essi. Certo, tutti i mitilicoltori hanno avuto danni, purtroppo qualcuno è stato veramente sfortunato e ha perso tutto il prodotto che aveva in acqua».
Uno di questi è Massimo Degortes: mitilicoltore di 55 anni, che ha iniziato a lavorare quando aveva appena 10 anni insieme al padre. Assicura che la sua azienda non aveva mai subìto un colpo del genere negli ultimi decenni: «Dovrei tornare agli anni '70, forse agli anni '60, per trovare un'annata così disastrosa. È un disastro totale, siamo in ginocchio e non sappiamo veramente se riusciremo a rialzarci. Ho perso tutte le cozze che avevo in mare, ovvero il 60 per cento della produzione di tutto il 2009. Una batosta così grande non me la ricordo proprio. Io produco 5 mila quintali di cozze all'anno, ne ho appena perso 2 mila e 500. In pochi giorni, all'improvviso, 400 mila euro persi». Era davvero impossibile prevenire la catastrofe? Secondo Degortes, non si poteva fare assolutamente niente: «Io altre volte mi ero salvato da questo tipo di disastro perché trasferivo il grosso della produzione a Cugnana durante i mesi più caldi. Quelle acque sono più fresche e ossigenate di quelle del golfo e infatti non ho mai avuto nessun problema. Ma quest'anno anche in quel tratto di costa l'acqua ha raggiunto i 28 gradi. Per due o tre giorni non succede nulla. Ma la temperatura è rimasta stabile per venti giorni e alla fine tutti le cozze sono morte».
Per ripartire serviranno i fondi europei. I mitilicoltori sono stretti in una morsa: la vendita in questo periodo sarebbe servita per pagare l'acquisto del novellame dell'Adriatico. A Olbia, infatti, solo il 5 per cento della produzione è fatta di cozze autoctone. Il resto viene comprato nell'Adriatico e fatto crescere qui. Ancora Degortes: «Ho pendenze da saldare, devo impostare il lavoro per il prossimo anno e anche per quello ci vogliono soldi».
CLAUDIO CHISU