Ci sono voluti ventitré anni. Tanti sono quelli trascorsi dalla frana della Sella del Diavolo che il 30 luglio del 1987 seppellì e uccise l'appuntato dei carabinieri Mondo Cabras. Una pioggia di massi di tufo in un giovedì pomeriggio di pesca. Un intero costone, su una spiaggetta a due passi da Marina Piccola, venuto giù come un castello di sabbia, lasciando nella disperazione una giovane moglie e un figlio di appena sette anni. La loro ferita non si è mai chiusa ma oggi, ventitré anni dopo il lutto, alle battute finali di una battaglia legale lunga e complessa, per Maria Rosaria Trogu e Giampiero Cabras, c'è almeno la soddisfazione per due sentenze che sposano la loro tesi e condannano il ministero delle Infrastrutture a pagare un risarcimento danni di novecentomila euro.

MINISTERO RESPONSABILE Per adesso, la cifra è sulla carta: il ministero ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione e la prima udienza, con ogni probabilità, non si celebrerà prima del 2012. Resta ferma, però, la recente decisione della Corte d'Appello di Cagliari, che ha confermato la sentenza di primo grado del 2006 e ha premiato la linea dei legali Valeria e Claudia Atzeri e Giovanni Pruneddu. «Sia in primo che in secondo grado», spiega Valeria Atzeri, «i giudici hanno ritenuto il ministero delle Infrastrutture responsabile della frana che ha ucciso Mondo Cabras ai sensi dell'articolo 2051 del codice civile, cioè per danno causato da cose di cui si ha la custodia. In sostanza, la Corte ha condiviso l'orientamento secondo cui, pur in presenza di beni demaniali molto estesi e di uso generale, non viene meno la responsabilità di custodia e vigilanza dell'amministrazione pubblica, nel caso specifico del ministero delle Infrastrutture (che ha riassorbito il vecchio ministero per la Marina mercantile) visto che i massi sono precipitati da un territorio che fa parte del demanio marittimo».

«TRAGEDIA PREVEDIBILE» Non solo, nella sentenza i giudici aggiungono che se sulla parete «si fosse fatta tempestivamente un'indagine come quella eseguita dopo il tragico incidente, che non ha certo impegnato ingenti risorse o tempi biblici, l'amministrazione avrebbe potuto accertare quello su cui sono convenuti tutti i consulenti che si sono occupati della vicenda». E cioè che il crollo della falesia della Sella, composta non certo di granito ma di sedimenti di arenaria e calcare, poteva essere considerato un fatto «non solo astrattamente ma anche concretamente prevedibile». Mentre purtroppo su quella spiaggia, nonostante la zona vicino al porto di Marina Piccola d'estate fosse frequentatissima, non fu predisposta alcuna opera di protezione né un segnale di pericolo.

BASTAVA UN CARTELLO Forse, in presenza di un cartello o di una recinzione, l'appuntato Cabras (all'epoca trentasettenne) avrebbe evitato di trascorrere uno dei pomeriggi di riposo su quella piccola spiaggia, in una giornata di luglio inutilmente nuvolosa. Forse avrebbe gettato la lenza da un'altra parte o forse sarebbe rientrato in anticipo alla caserma dei carabinieri di Quartu. Pochi mesi prima, come raccontano le cronache di quei giorni, aveva acquistato casa in città: voleva un tetto sicuro per sé e la sua famiglia. Un punto di partenza per una vita tranquilla, con un lavoro stabile e senza troppe pretese. Invece, ignaro dei rischi che correva, il 30 luglio quel «bravo ragazzo di Ingurtosu» scelse di parcheggiare la sua Opel Kadett alla prima fermata per tornare nella caletta preferita. È lì che i soccorsi l'hanno trovato, dopo due giorni di ricerche tra i massi e il terriccio. Ed è lì che è cominciata una contesa legale infinita: nel 1989 l'iscrizione a ruolo della causa e poi, di rinvio in rinvio, la sentenza di primo grado nel 2006 e l'appello nel 2010, con un aumento della somma dovuta ai familiari della vittima come risarcimento del danno patrimoniale e morale.

APPELLO IN CASSAZIONE Ora, la Cassazione sarà chiamata a dire una parola definitiva sulla vicenda. L'Avvocatura di Stato, nel ricorso che pende di fronte alla suprema Corte, continua a rigettare la tesi della responsabilità per mancata custodia o vigilanza e contesta l'insufficienza di motivazioni della sentenza d'appello. La linea del ministero delle Infrastrutture è la stessa di sempre e punta a dimostrare la «poca probabilità» e quindi la «scarsa prevedibilità» dell'evento in sé oltre all'impossibilità di «effettuare una continua e accurata attività di vigilanza e custodia» su un territorio come quello della Sardegna, che ha «circa 1.800 km di coste altamente frequentate».

Alla vedova (che oggi ha 63 anni) e al figlio di Mondo Cabras non resta che attendere con pazienza la decisione finale. In loro, adesso, non c'è la voglia di parlare della vicenda, tanto meno di polemizzare con la controparte. Il pensiero rimane a quel giovane sottoufficiale originario di Arbus e alla sua vita spezzata. Probabilmente, stando almeno a quanto stabilito dai giudici nel calcolare l'entità del risarcimento, l'appuntato Cabras sarebbe andato in pensione proprio in questi giorni, dopo una lunga carriera nell'Arma. Una storia mancata che nessuno potrà risarcire.

LORENZO MANUNZA
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